In presenza di una epidemia va bene l’hastagh “io sto a casa”. Ma ci può stare anche un messaggio meno depressivo del tipo “Boja chi molla”, perché può voler dire che la volontà di superare la crisi è più forte della paura del contagio.
Fatta la precisazione, a scanso di interpretazioni improprie da parte di ricercatori di parentele linguistiche politicamente da aborrire, c’è qualcosa da approfondire sul ritardo della presa di coscienza della potenzialità di contagio che ha fatto dell’Italia il secondo paese al mondo per emergenza sanitaria da coronavirus.
L’esperienza vissuta è una di quelle che lascia il segno. C’è da riflettere su ciò che è stato e di come rivedere comportamenti sociali e vizi politicanti.
Il primo dato di riflessione è di carattere esistenziale e riguarda la fragilità degli uomini a fronte degli eventi ignoti che ci riserva la natura. Se ne comprendono le angosce a partire dal cambio di consolidate abitudini fino alla modifica e/o rinunzia di spazi conviviali e relazionali nel lavoro, nello sport ed in attività di formazione, di culto e di cultura.
Il secondo dato riguarda il nostro sistema politico/istituzionale la cui inadeguatezza va oltre i colori e gli uomini pro tempore al Governo del Paese.
A parte i pasticci ascrivibili ai comportamenti degli inquilini di Palazzo Chigi, è oggettiva la confusione di ruoli e poteri andata in onda nelle scorse settimane tra Stato e Regioni a proposito di delimitazioni e prescrizioni di movimenti in ambiti territoriali: è inscritta nella Carta costituzionale a seguito della riforma del 2001 del titolo quinto.
Ad essa di aggiunge la vetustà della democrazia parlamentare le cui forme concepite nel 1947 soffrono o soccombono di fronte alla necessità di velocità decisionali imposte da un contesto globalizzato di relazioni tecnologiche, economiche e geopolitiche modificate ed evolute rispetto a 73 anni fa.
La nostra Costituzione sarà la più bella del mondo, ma come dice il poeta Edmondo De Amicis, “non sempre il tempo la beltà cancella, o la sfior le lacrime o gli affanni”. La nostra Repubblica ne ha tanto versato e sofferti. Parlarne non è uno stravolgimento dei valori della resistenza al fascismo (già morto a Piazzale Loreto) agitato ogni qualvolta che si è messo mano a riforme sostanziali del sistema istituzionale.
Il terzo dato è la neghittosità di fronte ad emergenze umanitarie (vedi fenomeno migratorio) dell’Unione Europea ferma alla moneta, il cui trattamento per sua natura è lontano dalle sensibilità solidaristiche. Il coronavirus può attivarne valore e consapevolezza nel segno di un contagio che non ha confini territoriali, né socio-economici.
Il quarto dato è domestico e riguarda la scoperta dei vantaggi del telelavoro da casa in termini di qualità della vita e di produttività. Basta attrezzarsi per attuarlo sopratutto nella PA e nei servizi ai cittadini, e nel settore privato per adeguarsi alla competizione globale.
Il coronavirus ci ha colpiti in contropiede, determinando una emergenza sanitaria e socio-economica senza precedenti e mettendo a dura prova la tenuta della convivenza dell’intera comunità nazionale.
Il richiamo al senso di responsabilità è un dovere per tutti anche se “ ‘a nuttata” passerà per merito della ricerca scientifica, cenerentola della spesa pubblica italiana. Come sosteneva Marie Curie, Nobel per la Fisica nel 1903 e per la Chimica nel 1911, “niente nella vita va temuto, deve essere solo compreso” ed aggiungeva “ora è tempo di comprendere di più, così possiamo temere di meno”.
Speriamo che la comprensione ci sia da parte della politica. Dopo lo schiaffone potrebbe risultare cinica la citazione di un detto latino “Utilis intendum est ipsis injuria passis”, ossia ogni male non viene per nuocere e non è una blasfemia stante al chiacchiericcio sul richiamo al gioco di squadra auspicato e mai messo in campo.
Come dire: il coronavirus riuscirà a chiudere il becco alla politica politicante in tutte le sue espressioni istituzionali e territoriali? O continuerà lo scaricabarile? Lo sport più praticato nelle aule parlamentari, nei social e nei mass-media che ne amplificano l’eco.