Solo nel mese di gennaio del 1945 le donne italiane riuscivano ad ottenere il diritto di voto, equiparandosi, almeno in questo, agli uomini. Ma non era stata una conquista facile, se l’erano guadagnata collaborando alla lotta al nazifascismo e dimostrando che non solo avevano ben sostituito l’altro genere nelle azioni di guerriglia, ma anche in attività che ad esse erano più congeniali, come, ad esempio, le staffette, i collegamenti con altri reparti, che riuscivano a fare meglio proprio perché donne.
Ma pure in quel periodo esse non erano state immune da carcere, torture, angherie di vario genere che gli aguzzini nazi-fascisti avevano inflitto a quelle che erano state scoperte, e anch’esse avevano pagato il contributo di sangue alla causa della liberazione.
Così nel nostro paese iniziava il periodo della emancipazione femminile, ma non si può dimenticare che le donne, per secoli, erano state ridotte, in Italia e nel mondo intero, ad un ruolo che dire secondario è un eufemismo: spesso erano state considerate meno che niente, addirittura meno di un oggetto, spesso come animali da monta e da riproduzione, e questa vergogna, che l’umanità si porta dietro, persiste ancora oggi in tante parti del mondo; ancora oggi vi sono paesi nei quali alle donne vengono riservati ruoli animaleschi, vengono considerate meno di un mulo, vengono degradate con riti barbari come, ad esempio, quello della infibulazione, (pratica importata dal flusso migratorio anche nel nostro paese nel quale solo 2006/7 è stata considerata reato penale), talvolta vengono “eliminate” perché inservibili o dannose; se si pensa che fino a qualche decennio addietro in Cina e in India le neonate venivano immediatamente soppresse, si comprende quale sia stata, per secoli, la dura condizione femminile: si è calcolato che solo in India, nello spazio temporale di tre generazioni, sono state eliminate 50.milioni di donne (pari alla popolazione di Austria, Belgio, Portogallo, Svezia e Svizzera messe insieme) solo perché “donne”.
Ovviamente anche nei paesi civilizzati, dove le donne venivano tollerate, esse non potevano aspirare a svolgere ruoli sociali diversi da quelli tradizionali, vale a dire fare figli, accudire i mariti, curare la casa, governare il bestiame, insomma servire tacendo.
E’ emblematica la storia di James Barry, prima donna-medico inglese la quale, per 56 anni, per poter esercitare la professione fu costretta a spacciarsi per uomo.
Nata come James Margaret Ann Bulkley in Irlanda tra il 1789 e il 1799 (la data non è stata mai accertata con esattezza), si sospetta che sessualmente fosse una ermafrodita in quanto aveva gli organi sessuali di un maschio e di una femmina, cosa che però non è mai stata effettivamente accertata.
Per realizzare il suo sogno di studiare medicina, all’epoca non consentito alle donne, mutò il suo nome in James Barry e si travestì da uomo, e tale rimase per 56 anni, e sarebbe morta come uomo se non fosse stato per le circostanze del decesso dalle quali venne fuori la verità.
Era stata la prima donna britannica a diventare medico, sebbene sotto mentite spoglie e può essere considerata anche come il primo transgender britannico della storia.
Aveva conseguito la laurea in medicina presso l’Università di Edimburgo, dopo la quale prestò servizio in India e in Africa dove, a Città del Capo in Sudafrica, praticò il primo parto cesareo, grazie al quale sopravvissero la madre e il neonato.
La sua professione, esercitata anche come chirurgo nell’esercito di Sua Maestà (sarebbe stata nominata Ispettore Generale degli Ospedali Militari), fu improntata a migliorare le condizioni di vita non solo dei pazienti, ma anche degli abitanti dei luoghi conquistati.
Barry aveva un carattere spigoloso e non era facile averci a che fare, era indiscreta, impaziente, litigiosa e ostinata, disponibile alla lite anche violenta specialmente se qualcuno faceva commenti sulla sua voce e sul suo aspetto, che erano rimasti ambigui tra il maschile e il femminile: probabilmente aveva timore che venisse scoperta il suo vero genere.
Ma Barry era molto garbata con i suoi pazienti ed era molto apprezzata per la sua professionalità e si impegnava molto per migliorare le condizioni sanitarie e di vita dei soldati e delle popolazioni; era vegetariana ed astemia, era una persona fuori dagli schemi dominanti quell’epoca, e il suo comportamento generale disturbava gli altri medici.
James Barry si ritirò dalla professione medica nel 1864 – probabilmente contro la sua volontà – e tornò in Inghilterra. Morì di dissenteria il 25 luglio 1865.
La governante Sophia Bishop, che si occupò del corpo, scoprì la sua natura femminile e la rivelò. Allora l’esercito britannico sigillò tutte le prove per 100 anni.
Solo successivamente la storica Isobel Rae ottenne il permesso di accedere a quei documenti e così venne fuori la storia della Berry, il cui corpo era stato seppellito nel cimitero monumentale londinese “Kensal Green”, sotto il nome che l’aveva accompagnata per tutta la vita, “James Barry”.
La vita e la storia di questa donna sono emblematiche delle condizioni in cui erano costrette a vivere le donne che desideravano emergere, riscattarsi dai secoli di soggezione, anche a costo di mascherarsi sotto le sembianze maschili per superare la loro emarginazione.
Le donne emancipate di oggi, che hanno finalmente conquistato dignità e diritti pari a quelli degli uomini, debbono essere grate a queste “eroine”.