Sessant’anni fa, il 27 febbraio 1960, moriva improvvisamente, a soli 59 anni, Adriano Olivetti, imprenditore e intellettuale che si era distinto per i suoi originali progetti industriali e per la convinzione che il profitto aziendale dovesse essere reinvestito per creare e diffondere benessere in favore di tutta la comunità.
Adriano Olivetti è stato uno dei più grandi e illuminati imprenditori italiani, che sarebbe passato alla storia non solo per la eccellenza imprenditoriale, che lo ha accumunato a tantissimi altri imprenditori nostrani di ogni epoca, ma anche a quelli che hanno considerato l’imprenditoria non come una aspra contrapposizione tra il datore di lavoro e i lavoratori, ma come una sinergia nella quale il dipendente è parte integrante dei progetti; di tale categoria imprenditoriali vi sono stati in passato non molti esempi (Marzotto, Ferrero, ecc.), che col tempo sono aumentati; non dobbiamo dimenticare che una delle grandi realtà industriali italiane, la Fiat, era in passato contraddistinta da una aspra competizione con la classe operaia, nel mentre negli anni successivi, ma specialmente con Marchionne, è totalmente mutata.
Uno dei pionieri di questo diverso rapporto è stato proprio Adriano Olivetti il quale rappresentò, col l’azienda di Ivrea, un’oasi di tolleranza.
Rispetto alla industrializzazione e alla urbanizzazione selvaggia, aspetti degeneranti del moderno capitalismo, Adriano Olivetti, talvolta anche in conflitto con lo stesso genitore che aveva fondato l’azienda, elesse nel Canavese un laboratorio sperimentale, attuando una politica del personale che tentava di conciliare l’antica tradizione agricola con le moderne esigenze industriali: i dipendenti avevano mense, asili e colonie per i figli, servizi sanitari, trasporti aziendali, abitazioni più che dignitose mentre altrove gli operai pativano il degrado e l’emarginazione delle famigerate “coree”, veri e propri ghetti.
Adriano Olivetti era nato a Ivrea l’11 aprile 1901, ed era figlio di Camillo, fondatore della “Ing. C. Olivetti & C.”, la prima fabbrica italiana di macchine da scrivere.
Era una famiglia di Ingegneri e inventori, ma su tutti emerse proprio Adriano anche per le doti umane che lo distinguevano e che spesso lo misero in contrasto col genitore.
La famiglia Olivetti era di origini ebree e, pertanto, aveva subito i rigori della dominazione fascista. Era oppositore del “regime” e ne pagò le conseguenze.
Adriano non aveva ricevuto alcuna educazione religiosa, ma era riuscito a sfuggire alle leggi razziali con un falso certificato di battesimo valdese.
Come antifascista si era espresso in occasione del ritrovamento del cadavere di Giacomo Matteotti, e unitamente ad altri antifascisti (Carlo Rosselli, Ferruccio Pari, Sandro Perttini) collaborò alla liberazione di diversi perseguitati; nel 1931 la Questura di Aosta lo indicò come sovversivo. Dopo la nomina a Direttore della Olivetti mitigò il suo impegno politico, dedicandosi quasi completamente all’azienda.
Si era diplomato all’Istituto tecnico di Cuneo, e nell’aprile 1918 si era arruolato come volontario; dopo il servizio militare si era scritto al Politecnico di Torino impegnandosi attivamente in campo sociale e politico, collaborando anche a riviste politiche che lo misero in contrasto con esponenti della vecchia Democrazia Cristiana.
Gli studi al Politecnico acuirono il contrasto col padre, il quale avrebbe voluto che si fosse laureato in Ingegneria meccanica, mentre Adriano aveva scelto quella chimica; il rapporto col padre non fu facile perché entrambi avevano un carattere molto forte, ma non tanto sulle prospettive aziendali, quanto sulle modalità di conduzione, specialmente in relazione ai rapporti con i dipendenti.
Si laureò nel 1924 e subito dopo si recò negli Usa per un periodo di approfondimento sulla organizzazione aziendale.
Rientrato in Italia nel 1926 il padre lo assunse alla Olivetti come operaio; fece, quindi, la gavetta, e solo nel 1932 divenne direttore della società e lanciò la prima macchina da scrivere portatile; nel 1938, a 37 anni, ne divenne Presidente.
Negli ultimi anni del fascismo fu costretto a rifugiarsi in Svizzera, ma alla caduta del regime rientrò e riprese le redini della Olivetti la quale, grazie alle sue capacità manageriali, divenne la prima nel mondo per prodotti per ufficio. Fu instancabile nella ricerca e sperimentazioni di sviluppo industriale unitamente ai diritti dei dipendenti, fautore della democrazia partecipativa dentro e fuori la fabbrica.
Dal 1945 Adriano Olivetti fu sostenitore del federalismo europeo e si ricollegò ad Altiero Spinelli, che aveva conosciuto durante il suo esilio in Svizzera. Nel 1949 si convertì al cattolicesimo e intorno alla sua azienda si formò un movimento che raggruppò tanti intellettuali i quali operarono alla creazione di una cultura scientifica, tecnica e umanistica.
Nel 1950, dopo aver divorziato dalla prima moglie Paola, si risposò con Grazia Galletti dalla quale ebbe quattro figli, tra i quali Roberto, il primogenito che poi lo avrebbe sostituito al vertice della Olivetti.
Nel 1953 aprì anche una fabbrica a Pozzuoli, con salari e stipendi superiori alla media e assistenza alle famiglie degli operai: questa sua munificenza venne ricompensata con l’impegno riconoscente degli stessi la cui produttività superò quella di Ivrea.
Nel 1956 venne eletto Sindaco di Ivrea e successivamente aderì alla Democrazia Cristiana e nel 1958 fu eletto Deputato.
Purtroppo la sua prematura scomparsa, a soli 58 anni, non gli consentì di esprimersi appieno in campo politico, e la sua morte costituì anche la cessazione delle tante attività culturali che egli aveva creato intorno alla Olivetti.
La morte lo colse nel mentre si recava in Svizzera alla ricerca di finanziamenti per rilanciare la Olivetti; durante il viaggio ebbe una emorragia cerebrale che lo stroncò.
Qualcuno, successivamente, avanzò l’ipotesi di un complotto statunitense per liberarsi dell’incomodo concorrente, dopo che erano stati trovati documenti segreti della Cia dai quali risultò che Adriano era stato più volte oggetto di indagini da parte della stessa.
Non è stato mai dimostrato il contrario, d’altra parte era notoria la posizione degli Usa che lo aveva sempre bersagliato: «Quest’uomo rappresenta un problema per il nostro paese» sembra abbia detto il capo della Cia, essendo nota l’ostilità del governo di Wastinghton nei confronti dell’imprenditore italiano; perché la Olivetti, oltre a fare un’agguerrita concorrenza all’industria d’oltreoceano in un settore strategico, rappresentava una pericolosa anomalia nell’Italia della guerra fredda: alla Fiat c’erano i reparti di emarginazione (le famigerate “coree”) e l’ambasciatrice Clara Boothe Luce minacciava di escludere dalle commesse americane le imprese dove prevalevano gli iscritti alla Cgil.
Ma anche in Italia, a quel tempo, Adriano Olivetti non era amato dai sindacati, perché non aveva avuto remore nel riconoscere che solo il sindacato guidato da Giuseppe Di Vittorio, la Cgil, era «l’unica organizzazione ad aver seriamente lottato per elevare i salari delle industrie del Nord e per trasformare la proprietà fondiaria del Sud». Dichiarazioni che suscitarono anche le ire del leader della Cisl, Giulio Pastore, e del presidente della Confindustria, Angelo Costa.
D’altra parte, è verosimile l’ipotesi del complotto in quanto, qualche anno dopo, il 9 novembre 1961, morì in uno strano incidente stradale Mario Tchou, l’Ingegnere giapponese che collaborava con la Olivetti e che era stato l’ideatore di una delle più importanti realizzazioni elettroniche, il mitico calcolatore Elea, all’epoca il più avanzato al mondo, costruito molto prima che il colosso statunitense Ibm entrasse nel campo della elettronica. L’ingegnere giapponese, all’epoca della sua morte, stava lavorando al progetto del primo calcolatore al mondo completamente transistorizzato. La scomparsa dell’Ing. Tchou mise fine al primato della Olivetti nel campo della informatica, la cui sezione venne poi ceduta alla General-Electric americana
Alla morte di Adriano Olivetti l’azienda contava circa 36 mila dipendenti, la metà dei quali negli stabilimenti esteri.
Al nome Olivetti sono legati tanti ricordi, principalmente per le geniali realizzazioni industriali nel settore della scrittura e del calcolo meccanico ed elettromeccanico, con oggetti che vennero esportati in tutto il mondo e fecero concorrenza a quelli realizzati in grandi paesi come gli Usa, con cui c’è stata una aspra concorrenza.
Chi non ricorda la mitica Lettera 22, la macchina da scrivere portatile che ha accompagnato tanti celebri giornalisti nelle loro missioni in giro per il mondo, uno fra i tanti Indro Montanelli, oppure le calcolatrici elettromeccaniche Divisumma e Multisumma?
Archeologia industriale che ha segnato un’epoca, e che viene ricordata con tanta nostalgia.