Per la prima volta le donne italiane possono votare.
Il 1° febbraio 1945, su proposta di Alcide De Gasperi (DC) e Palmiro Togliatti (PCI), fu riconosciuto il diritto di voto alle donne italiane che avessero compiuto 21 anni. Il Consiglio dei Ministri, presieduto dal socialista Ivanoe Bonomi, riconobbe il voto femminile con Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 23 del 1° febbraio 1945: “Estensione alle donne del diritto di voto”.
Il governo che varò la decisione era composto da Democrazia Cristiana, Partito Comunista Italiano, Partito Liberale e Democrazia del Lavoro. Il suffragio femminile aveva però dei limiti, elencati all’articolo 3 del Decreto: erano escluse dal voto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”. Norma che verrà in seguito abrogata nel 1947.
Deboli, emotive, votate alla cura della famiglia, oppure, facilmente manovrabili e influenzabili dalla Chiesa (secondo il timore dei partiti di sinistra). Questi e tanti altri erano i motivi addotti per anni per escludere le donne dalla vita politica e dal diritto di voto. Da allora in poi le porte della politica italiana si apriranno per tante donne il cui contributo sarà fondamentale: nella Carta Costituzionale entrata in vigore il 1° gennaio 1948 entra il principio di parità tra uomo e donna come cita l’art. 3 nel primo comma: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.