Questa nuova rubrica nasce per esplorare il nostro rapporto con il cibo, il corpo e le emozioni, per rendervi sempre più partecipi, accompagnarvi in un percorso di conoscenza, guidarvi verso scelte alimentari e di stili di vita consapevoli. In definitiva aiutarvi a trasformare l’attuale ossessione per il cibo ed il corpo in una sana attenzione.
Il cibo a chilometro zero
Andiamo al terzo tema del capitolo: il cibo a chilometro zero.
Intanto, dovremmo chiederci perché i chilometri zero debbano valere solo per il cibo e non per altri prodotti? La Coldiretti, Slow Food, ecc. promuovono giustamente i prodotti DOP come mozzarelle, lardo, cipolle, ecc. che per principio, però, dovrebbero essere mangiate solo nella zona di produzione! Ha senso scandalizzarsi, come tuonano queste associazioni, per il vino importato dalla California o dall’Australia e promuovere poi con poca coerenza il nostro vino in USA, le nostre mele, il nostro pecorino, il parmigiano in giro per il modo?
Si domanda Bressanini: “La spesa a chilometro zero è più sostenibile ecologicamente?”.
Gli esempi citati nel precedente articolo e documentati da ricerche serie e autorevoli hanno sorpreso anche me. Nel nostro immaginario il concetto incontrovertibile è che più un alimento ha viaggiato più energia ha consumato, più combustibili ha bruciato e gas serra ha prodotto. In definitiva il cibo più viene da lontano, meno è ecologicamente sostenibile. E’ vero? Molti studi seri dimostrano il contrario.
Alcuni esempi: basta fare pochi chilometri in macchina per comperare un chilo di fagiolini per emettere più anidrite carbonica che non trasportandoli dal Kenia, un paese oltretutto che sta incrementando notevolmente le colture “biologiche”. Spostiamo una tonnellata di macchina per un kilo di fagiolini quando un carico su una nave ne trasporta molte decine di migliaia di tonnellate. Quindi, consumi energetici ed emissioni di gas serra individuali possono essere superiori a quelli necessari per un grosso carico che rifornisce più mercati.
Ricerche serie ed accreditate hanno dimostrato che produrre pomodori in Svezia costa energeticamente molto più che importarli in questo paese dalla Spagna. Le fragole che arrivano in aereo dal Medio Oriente costano meno, in termini energetici, di quelle prodotte da noi in tutti i periodi dell’anno. Molti paesi del nord Europa per allinearsi ai consumi di frutta e verdura minimi raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dovrebbero incrementare ulteriormente l’importazione di frutta e verdura dall’Africa o altri paesi del sud del mondo. Se volessero sposare il principio dei chilometri zero incrementando la produzione in loco, con l’utilizzo di serre e di ambienti ecologici artificiali, ciò comporterebbe un impatto ambientale ancora peggiore. Tutto ciò è scientificamente dimostrato!
Abbiamo provato ad esporre questi semplici concetti ad un recente convegno internazionale sui temi della nutrizione e dell’alimentazione allo scopo di sollecitare una riflessione critica sull’argomento, ma ciò mi è costato un’aggressione verbale di una “funzionaria delle calorie” adepta ed integralista della nuova religione del “naturale e dei chilometri zero”! (4 – continua)