Leggendo di primo acchito il testo di Maurizio Agamennone, dal titolo “Viaggiando, per onde su onde – Il viaggio di conoscenza, la radiofonia e le tradizioni musicali locali nell’Italia del dopoguerra: 1945-1960” (Squilibri Edizioni, Roma), salta immediatamente alla mente del lettore leggermente erudito nel segmento musicologico, la facile equazione dei due protagonisti dell’interessante saggio: Alan Lomax sta agli Stati Uniti come Diego Carpitella sta all’Italia: come per dire che, su due territori geografici diversi e diametralmente opposti, operavano due fra le personalità di spicco dell’etnomusicologia mondiale.
Per quelli come me che hanno imperversato sui sentieri della musica afroamericana il nome di Lomax è stato il punto di riferimento da cui partire per studiare i fenomeni socioantropologici di quel popolo, e ritrovarlo nel testo di Agamennone suona come una nota malinconica ma piacevole, tuttavia enormemente accattivante nel constatare come il citato autore toscano abbia saputo cogliere, con perizia culturale, il viaggio salentino, a ragion veduta definito “viaggio della conoscenza”, di questi due mostri sacri dell’etnomusicologia: scienza che senza il fondamentale apporto di tali individui, avrebbe creato una profonda lacuna nello scibile umano. Un viaggio pionieristico su un territorio lacerato da eventi bellici e che andava sapientemente ‘riletto’ e ‘rilegato’ nelle sue trame storiche, sociologiche e, non ultime, antropologiche.
Parallelamente l’arduo lavoro di ‘conoscenza’ dei due etnomusicologici su terra nostrana veniva effettuato dall’embrionale fenomeno radiofonico che scandiva, giorno dopo giorno, “onda su onda” -per richiamare il sottotitolo del libro- le metamorfosi socio-politiche di un Paese in via di ripresa, in cui il reddito nazionale raddoppiava impetuosamente grazie anche al supporto post-bellico del Piano Marshall.
Decantare, quindi, l’innegabile apporto della radio nella temporalità della trama del saggio di Agamennone, significherebbe fare pura “scienza dell’ovvio”. La radio, in special modo nella fase bellica e post, ha rappresentato il filo conduttore della vita degli uomini, vivi e morti, in cui hanno imperversato anche i due gradi etnomusicologi citati, raccontando le tradizioni musicali locali, il folk territoriale che divenne vera e propria voce enciclopedica, i fenomeni tribali di una geografia deturpata dalla stoltezza degli ‘uomini della guerra’.
La radiofonia, attraverso la propria evoluzione del Secondo e Terzo programma, cominciò a offrire prospettive e informazioni parallele, conferendo un nascente pluralismo ideologico, che poi si sarebbe consolidato prepotentemente negli anni a venire. Un vero e proprio slancio di emancipazione sull’etere dalle colpe maturate sotto una dittatura incipiente, la radio apparve come lo strumento di recupero per un’incisiva sobrietà narrativa e un occhio particolarmente puntato sulle comunità locali, raccontando rispettosamente le differenze linguistiche e culturali ignorate e oppresse nel corso della ventennale tirannia.