La svolta del premier Conte, da crisalide a farfalla
Governo di svolta, così è stato presentato dai promotori del nuovo sodalizio giallo-rosso e così è stato illustrato dal premier Giuseppe Conte alla Camera dei Deputati ed al Senato che gli hanno accordato la fiducia.
Ed in più può contare sull’endorsement delle cancellerie Usa ed europee e di Bruxelles. Come dire che ha crismi e condizioni per lavorare con “sobrietà” senza l’urlo conflittuale con i vertici Eu. Ne fa da garante la presenza dell’ex premier Paolo Gentiloni nella Commissione con delega all’Economia, anche se le funzioni esecutive in materia sono state affidate alle mani di un “rigorista”, il lettone Valdis Dombrovskis.
Se ci sono interrogativi sulla vita del Conte bis, essi sono tutti interni alla compatibilità tra culture politiche di diversa estrazione riformista: una coltivata dai dem nell’ambito dei palazzi dei poteri costituiti, l’altra avvertita dai pentastellati in termini di rottura del sistema dei poteri dominanti, salvo resipiscenza per dare senso alla loro seconda esperienza di Governo.
Al momento la “svolta” è cromatica (il rosso del PD subentra al verde della Lega) ed ha anche un tocco lessicale nel senso che il documento che dà vita al nuovo sodalizio prende il nome di “accordo” politico e/o programmatico. Rispetto al “contratto” Lega/M5S, di cui Conte era semplice notaio, è più generico e compendia voci e temi che da circa un ventennio agitano il dibattito politico italiano.
In questa fase della cosiddetta “luna di miele” appare esaltato il ruolo di Conte nella versione di negoziatore con i vertici europei, mentre è più defilato il protagonismo dei suoi partner. Ne offrono una chiave di lettura la carenza di calendarizzazione degli argomenti da portare in Parlamento, secondo priorità coerenti con il citato programma, ed il clamore mediatico per possibili aperture da parte di Bruxelles su temi sensibili come immigrazione e flessibilità nei conti per investire nel Mezzogiorno. Ne restano sospesi altri, quelli sui quali si potrebbero manifestare screzi ed insofferenze. Perciò si capisce la freddezza del PD che, avendo problemi di equilibri interni, sta lasciando la scena alle iniziative di Conte.
Fino a quando? L’interrogativo pesa di più per la durata del Conte bis che per la vita della legislatura, la cui salvaguardia dipende dall’attivazione delle procedure di riforma costituzionale. Non a caso la riduzione del numero dei parlamentari, irrinunciabile per M5S, è ritenuta il traino per altre modifiche di rango costituzionale e per la revisione dell’attuale legge elettorale.
Quest’ultima, se concepita in chiave proporzionalistica, può essere intesa come uno scudo anti Salvini, ma se attuata consentirà soprattutto di certificare la consistenza dei partiti che si candidano per governare. Nella prospettiva di un ritorno alle coalizioni da costruire in Parlamento fra partiti omogenei è prevalente la figura del leader garante delle convergenze.
Su questa figura nel breve/medio periodo si aprono le faide delle aspirazioni.
Il PD è disponibile a lasciare il campo per una eventuale leadership di centrosinistra a Conte o ne depotenzierà l’empatia con gli elettori prima di arrivare alle urne?
L’interrogativo resta in sospeso rispetto ai sintomi che si potrebbero cogliere dalle parole di Matteo Renzi alla decima Leopolda convocata per il prossimo 9 ottobre. Ancora una volta il benservito per Conte potrebbe arrivare da un altro partner di Governo.
Nella prima esperienza si può dire che era politicamente una crisalide, nell’esperimento bis pagherebbe lo scotto di avere volato alto, oltre il supporto del M5S. Al di là del repentino trasformismo dagli esiti incerti, nel suo uno due è leggibile più che una svolta di pensiero una evoluzione biologica politicamente corretta, nonostante la vulnerabilità dell’evoluzione da crisalide a farfalla.