Cava, l’ex sindaco Gravagnuolo… vox clamantis in deserto?
L’intervista pubblicata oggi, rilasciata al nostro giornale dall’ex sindaco Luigi Gravagnuolo, è una magistrale lezione di politica. Per palati fini, aggiungiamo. Come tale è uno scrigno di preziosissimi consigli, di cui almeno in parte, si spera, facciano tesoro le forze politiche cittadine ed i suoi vari esponenti.
Estrapoliamo, allora, dai tanti insegnamenti, alcuni passaggi.
E’ singolare e molto significativo ed interessante, ad esempio, per un politico a tutto tondo come il nostro, che nei partiti ha militato con convinzione ed onore per decenni, il forte richiamo al civismo.
“Riterrei realmente alternativi -sostiene Gravagnuolo- una giunta ed un sindaco che si dicano iscritti ad un solo partito, chiamato ‘Cava de’ Tirreni’. Connoterei quindi tale proposta politica semplicemente come civica, di servizio per la nostra comunità”. Più chiaro di così è difficile esserlo. D’altro canto, la sua esperienza sindacale fu sostanzialmente caratterizzata da questa scelta di fondo.
Un concetto, quello del civismo, che ritorna significativamente anche in un altro passaggio: “Se la proposta è civica, i partiti, qualora la ritenessero valida, farebbero bene a sostenerla consentendo ai loro uomini e alle loro donne migliori di mettersi a disposizione della città, senza sottolineature identitarie di parte. Un’alleanza tra civismo e partiti, evidenziata per il tramite di liste di partito confluenti insieme a liste propriamente civiche su un’unica candidatura a sindaco mi sembrerebbe un pasticcio. Ed una minaccia”. Chiarissimo, oltre che condivisibile. Insomma, il civismo di facciata che nasconde solo delle furbate per raccattare voti e turlupinare gli elettori non è quello di cui parla e che propone Gravagnuolo.
Un altro passaggio racchiude un grande insegnamento, è quello sulla scelta degli uomini, in particolare, del candidato sindaco. In effetti, il più delle volte, in un simile frangente sembra porsi il più classico dei problemi, ovvero se è nato prima l’uovo o la gallina. In altre parole, si sceglie prima chi deve essere candidato a sindaco o si deve partire prima dal progetto politico? Gravagnuolo non ha dubbi: ci si confronta innanzi tutto “sull’analisi delle esigenze della città e su quanto occorra per farvi fronte”, sottoponendo il tutto “al vaglio degli stakeholder e della gente semplice, disponibile al confronto”.
Solo dopo, vale a dire successivamente alla definizione e alla condivisione del “fabbisogno amministrativo e le sue possibili soluzioni”, si pone il problema di chi deve essere l’interprete politico. Gravagnuolo ritiene, infatti, che a quel punto “non dovrebbe essere difficile individuare la persona che, per competenze, spirito di servizio, onestà e capacità di leadership, sia quella giusta alla quale sottoporre l’analisi e le proposte e chiedere di scendere in campo”.
Per farla breve, Gravagnuolo indica un metodo politico. Quel metodo che spesso i partiti, per non dire quasi sempre, soprattutto in questa confusa e disordinata stagione politica, fanno finta (forse semplicemente perché sono tecnicamente impossibilitati a farlo) di non conoscere, guardandosi bene dall’approcciarsi alla questione delle scelte di fondo, circa la selezione della classe dirigente e della progettualità, in modo compiuto, corretto, serio, costruttivo.
D’altro canto, il nostro è ben conscio di quali siano i requisiti richiesti alla troupe chiamata a mettere in scena il teatrino politico: “Puoi essere un cretino, o uno impasticciato col malaffare, se porti voti vai bene. D’altra parte è anche comprensibile, i valori sono ormai scomparsi e alle elezioni ci si presenta pur sempre con l’obiettivo di conquistare il consenso della maggioranza degli elettori”. E non si nasconde neanche che “non è facile tenere fuori dalle liste chi ha i voti e magari mettervi dentro i buoni, gli intelligenti, i colti e i puri, ma privi di legami con l’elettorato”.
Ad ogni modo, per Gravagnuolo è centrale il programma, che “nasce dall’individuazione dei bisogni della città e dalla loro definizione gerarchica: noi che ci candidiamo a governare la nostra comunità, di quali bisogni sociali siamo espressione? Quindi, quali problemi affronteremo prioritariamente, quali invece rinvieremo… È evidente che la gerarchia delle priorità sarà facilitata dal possesso di una visione d’insieme sulla città del futuro. Tra dieci anni, come crediamo che debba essere diventata la nostra città?”.
E’ questa una visione alta della politica. Quella che manca da alcuni anni o che si è manifestata in modo confuso e contraddittorio, e non solo nella nostra città, purtroppo, ma a Roma quanto a Bruxelles. E’, per capirci meglio, la capacità di governare il presente predisponendosi al futuro, immaginando quindi quale sarà la città, il Paese, che lasceremo ai nostri figli. Insomma, come insegnava Winston Churchill, “il politico deve essere in grado di prevedere cosa accadrà domani, il mese prossimo e l’anno prossimo…”. Peccato, però, che a trovarli simili politici, di questi tempi, non è proprio cosa semplice e facile.
In ultimo, è chiaro e forte, sebbene detto in modo non gridato, bensì ragionato e ben argomentato, l’appello di Gravagnuolo alla città nel suo insieme e alla politica locale in particolare: costruire “un progetto civico unificante per la città”.
Sarà quella di Gravagnuolo una “vox clamantis in deserto“? Il timore, assai fondato, è che l’esortazione dell’ex primo cittadino, almeno nell’immediato futuro, resti inascoltata.