scritto da Mariano Avagliano - 30 Agosto 2019 08:53

Tutto in una Lettera

Le lettere, quelle di carta dove si vede, sul foglio in controluce, il solco della mano che le ha scritte, oggi non le scrive quasi più nessuno. Se non per aspetti, a volte, boriosamente e burocraticamente formali.

Nemmeno gli auguri si fanno più per lettera. La maggior parte preferisce l’immediatezza del mezzo elettronico, wazzup o mail che sia. Ma, succede, nella velocità qualcosa si perde.

Scrivere una lettera, con carta e inchiostro, è tra le cose che forse più di tante altre apre alla comprensione del valore della scrittura, intesa come gesto, unico, che riunisce vari mondi: pensiero, linguaggio, vista, moto non solo degli arti inferiori perché poi, con le mani che stringono la penna e il foglio, è tutto il corpo che è partecipe del movimento. Per riuscire ci sta bisogno, prima di altro, di una fondamentale dote: quella di saper coordinare, ed è un’innata attitudine che abbiamo sviluppato nel corso dei secoli, pensiero e azione e concretizzarle attraverso il linguaggio che prende forma, con la grafica, sulla carta.

Un’attività quasi misteriosa che da vita, con l’inchiostro, a un modo che qualche istante prima esisteva solo nell’iperuranio dell’immaginazione.

Ogni volta che si scrive una lettera è come se iniziasse un viaggio – breve o lungo a seconda dei casi – dentro al mondo con cui raccontiamo noi stessi e le cose di cui facciamo esperienza. A volte, addirittura assolvendoci o condannandoci per quanto abbiamo fatto o meno.

Non è un caso, infatti, se alcune delle più Grandi opere della Letteratura mondiale siano stati ideati sotto la forma di corrispondenze epistolari. Come se l’autore fosse più libero di esprimersi attraverso il racconto di sé a un altro soggetto, reale o immaginario che sia.

A differenza del “diario”, in cui l’autore rimane sempre osservatore di sé stesso per sé o verso i posteri, la corrispondenza epistolare offre l’occasione unica di uscire dall’autoreferenzialità e raccontarsi a un altro soggetto verso il quale, per esser maggiormente chiari e concisi, bisogna per forza di cose sviluppare una certa imparzialità e capacità di visione dall’esterno.

Ecco che nella società che viviamo, frenetica e sfilacciata, sarebbe forse interessante se le persone scrivessero più lettere perché, magari, avrebbero maggiori occasioni per guardarsi dall’esterno e confrontarsi con sé stessi. È difficile, perché tutti scappano da qualcosa che toglie tempo (per poi arrivare alla famosa frase del film “Chi fugge sa da che cosa fugge ma non sa quello che cerca”), ma se qualcuno ci provasse a mettersi alla scrivania per scrivere una lettera potrebbe avere l’occasione per staccare la spina per pochi minuti e focalizzarsi, nell’attesa che le parole arrivano sulla carta, su ciò che è realmente o concretamente importante.

Oltre la fuliggine, il bociar e l’indifferenza della nostra confusa quotidianità.

Oltre la dittatura del Presente contro la quale, per affermare il Senso, è bene misurarsi e lottare.

Ha iniziato a scrivere poesie da adolescente, come per gioco con cui leggere, attraverso lenti differenti, il mondo che scorre. Ha studiato Scienze Politiche all’Università LUISS di Roma e dopo diverse esperienze professionali in Italie e all’estero (Stati Uniti, Marocco, Armenia), vive a Roma e lavora per ItaliaCamp, realtà impegnata nella promozione delle migliori esperienze di innovazione esistenti nel Paese, di cui è tra i fondatori. Appassionato di filosofia, autore di articoli e post, ha pubblicato le raccolte di poesie “Brivido Pensoso” (Edizioni Ripostes, 2003), “Esperienze di Vuoto” (AKEA Edizioni, 2017).

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