scritto da Mariano Avagliano - 11 Maggio 2019 11:00

Dietro al Pallone

Si fa un gran parlare nel nostro Bel Paese degli allenatori. Già da adesso. Tre mesi prima della calda Estate che tutto, gran vociare di parlamento e Governo inclusi, allenterà.

Sembra che Conte ritorni in Italia. E pure, quasi, il toscanaccio Sarri.

Ma non solo perché ce ne sono tanti altri di nomi di allenatori che, a detta dei Grandi Cronisti, vorrebbero tornare.

Se pensiamo che l’Italia è il Paese da cui scappare, il Calciomercato, anzi, a dirla tutta, il toto panchina è la vera inversione di tendenza. Perché sembra che tutti, prima o poi, nel nostro Paese, nel nostro campionato, il più contestato e, al momento, il meno vivo, ci vogliono ritornare.

Nei momenti più foschi diciamo che il Calcio, sport comunemente banale, non rappresenta il Paese se non nella sua parte peggiore. Ma, tuttavia, ci sta una parte che racconta un mondo diverso perché prima o poi qualcuno, qualche grande allenatore, da noi ci vuole tornare.

Non si sa chiaramente il Perché, ma, immagino io, che pure chi se n’è andato per qualche anno, alla fine nel suo Paese, in quello dove ci stanno cinquanta milioni di allenatori davanti alla televisione, ci vuole tornare.

Perché? Beh è abbastanza semplice. Per lo stesso motivo per cui facciamo fatica a distaccarci da una relazione di amore pesante. Perché vogliamo dimostrare di esser in grado, di essere all’altezza di andare avanti. Pure con le infinte e soprendenti contraddizioni che solo il nostro Bel Paese sa regalare.

Chi è stato fuori, in Inghilterra o negli Stati Uniti ad esempio, sa bene di cosa stiamo parlando. Se da una parte il mondo sembra perfetto, fatto di fair play e rispetto, dall’altra il nostro Paese offre un’immagine del calcio che in pochi Paesi forse ancora esiste. Un’immagine di tutta e pura amarcord fatta di riscatto. Ci sono zone che ancora credono, pure senza dirlo, che il calcio, con le sue arretratezze, sia una speranza e l’occasione di riscatto, nella vittoria, pure solo una, che da sempre aspettavano. Come se una partita, una sola, fosse capace di lenire le ferite e le mancate realizzazioni di tutta quanta una vita.

E questo è solo uno dei punti cruciali.

Il nostro calcio, inoltre, è fatto anche di particolarismi che appartengono soltanto a noi. Su tutti la mancata, ancora, transizione dal modello del catenaccio che, ad oggi, ancora si deve compiere verso un qualcosa di più realizzato. Ed è interessante vedere il paradosso che si crea pensando a Cristiano Ronaldo che gioca da noi, il giocare fisicamente e tatticamente, forse più evoluto di tutti i tempi.

E solo da Noi, come forse avviene pure nella politica di tutti i giorni, siamo i maestri del disfattismo. L’anno scorso una squadra italiana era in finale di champions, quest’anno non ce ne sta nessuna, anzi, ce ne stanno quattro inglesi e, quindi, dagli e ridagli al marcio del nostro campionato, alla colpa di una squadra sola che vince, alle altre incapaci, al modello che non favorisce il ricambio generazionale ecc., piove governo col reddito di cittadinanza e tutti felici e contenti.

Siamo uno strano Paese, non è la prima volta che qualcuno lo dice. Però forse è anche arrivato il momento di prenderne consapevolezza perché non significa, per forza, che siamo meno degli altri. Significa che siamo Paese strano, punto.

Se alla fine qualcuno dalla Premier ritornerà da Noi sarà un bel segnale. Ma non solo perché ci stanno dietro i piccioli come dice, spesso, chi perde e non ce la fa ad ammettere che ci sta qualcun altro più forte.

Significa pure che qualcuno ci vuole tornare perché un conto è riuscire in un paese ove tutto, almeno per la maggior parte, scorre in maniera lineare e quasi e un altro è invece riuscire a vincere un campionato da noi dove da otto anni ce ne sta una sola di squadra con merito dell’una e demerito degli altri.

Ci sta una sorta di nostalgia dei campetti di calcio dove uno è cresciuto, la Lecce di Conte per esempio. Ci sta, il gusto, tutto italico, di prendersi una rinvicita, solo e puramente morale contro tutti quelli che hanno detto che di calcio non ne capivi un acca e che non eri capace di capire che un calciatore andava sostituito in quello specifico momento.

Qualcuno arriverà e quindi, benvenuti.

Anzi, bentornati.

Ha iniziato a scrivere poesie da adolescente, come per gioco con cui leggere, attraverso lenti differenti, il mondo che scorre. Ha studiato Scienze Politiche all’Università LUISS di Roma e dopo diverse esperienze professionali in Italie e all’estero (Stati Uniti, Marocco, Armenia), vive a Roma e lavora per ItaliaCamp, realtà impegnata nella promozione delle migliori esperienze di innovazione esistenti nel Paese, di cui è tra i fondatori. Appassionato di filosofia, autore di articoli e post, ha pubblicato le raccolte di poesie “Brivido Pensoso” (Edizioni Ripostes, 2003), “Esperienze di Vuoto” (AKEA Edizioni, 2017).

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