I soliti ritornelli della politica, stancanti oltre ogni dire, che sembrano sempre più lontani dagli interessi immediati dei comuni mortali, alle prese con i quotidiani affanni, ci spingono ad allontanarci dai “dorati” luoghi istituzionali ed avvicinarci a quelli più terra terra delle masse.
Denuncia dei redditi
Si avvicina il periodo in cui i contribuenti italiani, coloro che secondo un trapassato Ministro dell’economia dovrebbero essere felici di questo adempimento, debbono organizzarsi per l’annuale impegno di dichiarare i propri redditi e calcolare ciò che debbono dare al fisco o quello che debbono avere.
Uno studio recente effettuato dal Ministero dell’economia e finanze (Mef) sulle denunzie presentate nel 2018 evidenzia che un contribuente su quattro non paga le tasse, e non perché sia evasore, ma semplicemente perché non è tenuto a farlo.
Infatti, rispetto al totale delle dichiarazioni presentate, circa 41 milioni, 10,5 milioni di contribuenti hanno una imposta netta pari a zero. Inoltre il Mef ha evidenziato che il 45% dei contribuenti che hanno presentato la dichiarazione si colloca nella fascia di reddito fino a 15.milioni di euro e dichiara solo il 4% dell’Irpef. Nel 2018 il numero delle dichiarazioni presentate è stato di 340.mila in più rispetto all’anno 2017 (+0,83%) Sempre il Mef fa sapere che il reddito medio del contribuente è di Euro 20670,00, in diminuzione dell’1,3% rispetto a quello dell’anno precedente; nel complesso sono stati dichiarati 838.miliardi di euro, con 5.miliardi in meno rispetto al 2017 (-0,6%), e il reddito medio più alto se lo aggiudica la Lombardia (euro 24720,00) seguita dalla provincia di Bolzano (23850,00); fanalino di coda risulta la Calabria, con un reddito medio di 14120,00 euro.
E’ opportuno, comunque, che i contribuenti incomincino a mettere insieme tutti i documenti occorrenti per la compilazione della denuncia dei redditi, iniziando dalla C.U. (ex Cud), spese mediche, certificazione degli interessi passivi sui mutui i finanziamenti, certificazioni di lavori fiscalmente deducibili, il tutto da consegnare al Caf o al fiscalista per la stesura del diabolico e certamente non amato fascicolo.
Fra pensioni e reddito
Sono le due misure simbolo sulle quali l’attuale governo ha investito tutta la sua credibilità: quota 100 e reddito di cittadinanza.
Tante sono state le contestazioni delle opposizioni e delle forze produttive del paese, ma oramai è acqua passata, le leggi sono state approvate e, a meno che non emergeranno intoppi e difficoltà, entro breve tempo diventeranno operative.
La famosa “quota 100”, vale a dire la somma dei due parametri –età e anni di contributi– in base alla quale si potrà andare in pensione aggirando la legge Fornero, fa il paio con l’altrettanto famoso reddito di cittadinanza, del quale fino a questo momento si stenta a decifrare il meccanismo anche per i numerosi controlli ai quali dovranno essere sottoposti i richiedenti, con la speranza (!) che non vi saranno eccessivi (!) abusi; su questo, conoscendo purtroppo come vanno le cose in questo benedetto nostro paese, non sono pochi i dubbi e le perplessità; staremo a vedere come si metteranno le cose anche perché questo reddito è una misura di accompagnamento verso un nuovo lavoro, rifiutando il quale il percettore, dopo tre anni, verrà escluso: cosa succederà allora non è chiaro.
Rimane il problema di fondo, vale a dire il lavoro (o i tre lavori) da proporre, mancando i quali non si sa come evolverà questo reddito; molti temono che, con l’economia ormai ferma, il lavoro più che aumentare diminuirà e da questo punto di vista tutta la vicenda diventa un bel rebus che i pure famosi “navigator” (ma dove l’hanno scovato questa parola?) non potranno risolvere.
Le banche e i crediti a rischio
Nonostante le ampie assicurazioni provenienti dal settore e dalla Banca d’Italia sulla invertita tendenza del sistema creditizio italiano, che sembra venuto fuori dagli affanni degli ultimi anni, la BCE, Banca Centrale Europea, insiste ancora perché le Banche procedano ad una ulteriore stretta sui crediti deteriorati, vale a dire crediti dei quali non si è certi del rientro, procedendo ad un azzeramento di quelli accumulati in passato.
Le banche italiane hanno ancora in bilancio circa 210.miliardi di questi crediti a rischio, il 55% dei quali è coperto da accantonamenti già effettuati; rimangono ancora circa 100.miliardi a rischio ai quali la Bce chiede di far fronte con ulteriore accantonamento di pari importo; il che sta a significare che le banche italiane dovranno trovare questi 100.miliardi ricorrendo a ricapitalizzazioni, cosa che in questa fase recessiva non sembra facile.
Si potrebbe percorrere qualche altra strada, come quella della cessione di tali crediti a società finanziarie o di recupero, ma anche questa strada è impervia in quanto una società disposta ad “acquistare” tali crediti tende, ovviamente, a pagarli il meno possibile ed a ricavarne il massimo, specialmente se la cessione avviene con la clausola “pro soluto”, la quale sta a significare che la banca si priva del credito deteriorato e la società acquirente introiterà tutto ciò che riuscirà a recuperare: tale cessione inevitabilmente riduce l’importo nominale del credito (importo che la banca incasserà dalla società di recupero) e non libera la stessa dalla necessità di dover far fronte alla differenza tra il valore nominale del credito e il valore della cessione; dalla trascorsa esperienza si evince che a fronte di un credito di 100 euro la banca ne incassa solo 17 circa e deve far fronte, quindi, ad un minus-valore di 83 che comporterà una ricapitalizzazione: riuscirà a farla?
Fondo per l’indennizzo dei risparmiatori
Con la legge finanziaria 2019 è stato istituito il Fondo Indennizzo dei Risparmiatori, Fir, con uno stanziamento di 1,575.miliardi di euro per il triennio 2019-2021 (euro 525.milioni ogni anno): del Fir potranno beneficiare i risparmiatori di banche messe in liquidazione nel periodo novembre 2015 – dicembre 2017, come la Banca Etruria, Banca delle Marche, Casse di risparmio di Chieti e di Ferrara, Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca e loro controllate.
Ma in questo periodo altre numerose banche, delle quali non si è molto parlato, sono andate in liquidazione, come la Banca Padovana, le BCC di Pelaco, Etrusca Salernitana, Frascati, Banca Brutia, Altavilla, Interprovinciale Veneto, e la Banca Popolare delle Provincie Calabre. Anche i depositati di queste banche possono avvalersi del Fir, ma con una limitazione: i possessori di azioni potranno ricevere un ristoro non superiore al 30% del prezzo di acquisto delle azioni, sul presupposto che chi acquista azioni sappia (o dovrebbe sapere) bene che questi titoli sono soggetti alle fluttuazioni del mercato e pertanto nessuno mai potrà pretende di vedersi rimborsati gli ipotetici 100.euro investiti; pertanto, sempre partendo dall’ipotetico importo di 100 euro, l’azionista potrà recuperarne al massimo 30.
Pensioni future e Fondi pensioni
Il sistema contributivo per il pagamento delle pensioni nel nostro paese è detto “a ripartizione” e si basa sul principio che i contributi versati per la futura pensione non siano un accantonamento che il singolo contribuente fa per la propria pensione, ma un fondo con il quale verranno erogate le pensioni a tutti quelli che ne hanno diritto.
Questo criterio, che ha retto fino a qualche decennio addietro, di grande valore etico e sociale, presuppone che la base contributiva si estenda sempre di più per la duplice ragione che un lavoratore dipendente, aumentando l’età e i meccanismi retributivi, con il trascorrere degli anni percepisce retribuzioni sempre più alte in base alle quali, vigendo il criterio della pensione retributiva (basata cioè sull’ultima retribuzione) solo con i versamenti da parte dei giovani lavoratori si potrebbe sostenere il peso delle pensioni di anzianità o di vecchiaia.
Man mano il criterio è stato attenuato, nel senso che la pensione retributiva è stato assottigliata e, attualmente, una pensione è calcolata in parte sulle ultime retribuzioni ma in larga parte sui contributi versati; rimane però un notevole divario tra le pensioni erogate e il fondo dal quale vengono attinte, che si assottiglia sempre di più in relazione alla inferiore contribuzione dei lavoratori giovani determinata anche dalla imperante disoccupazione nonché dal lavoro nero; tant’è che, per mantenere in vigore il sistema, ogni anno lo Stato gira all’Inps un cospicuo numero di miliardi.
Con i vari interventi correttivi, le pensioni si riducono sempre di più, e l’introduzione della quota 100 le penalizza ulteriormente.
In considerazione di tutto ciò e della necessità che le future generazioni possano percepire una pensione che consenta un dignitoso tenore di vita, tornano alla ribalta i Fondi pensione, cioè il sistema pensionistico privato istituito negli anni ’90 per consentire ai dipendenti di costituirsi una pensione integrativa.
Inizialmente, come tutte le novità in questo paese, non furono ben visti e considerati, ma chi li introdusse aveva studiato a fondo le difficoltà future e fu lungimirante con la creazione di questa alternativa che, a distanza di oltre un ventennio, si è rivelata molto utile e valida; e anche i Fondi pensione, poco per volta, sono stati rivalutati nella considerazione delle popolazione e la loro gestione ha dato risultati positivi.
Oggi più che mai è opportuno orientarsi verso questo sistema anche perché, con l’introduzione dell’attuale “quota 100”, secondo una elaborazione fatta da Altroconsumo, una dipendente di 62 anni che va in pensione, rispetto allo stipendio percepirà una pensione che non gli consentirà di tenere un tenore di vita adeguato: euro 1372 mensili a fronte di uno stipendio di euro 2305 (-41%), 1728 su 3074 (-44%), 2070 su 3847 (-47%), 2771 su 5773 (-53%); un poco meglio per chi va in pensione a 67 anni: euro 1764 a fronte di una retribuzione di auro 2426 (-28%), 2249 su 3231 (-29%), 2700 su 4042 (-33%), 3685 su 6060 (-39%); e parliamo di importi lordi.
Quindi l’unica alternativa è data dai fondi pensione, per chi è ancora in tempo e per chi può permetterseli.
30 marzo 2019 – By Nino Maiorino – Nell’articolo in argomento c’è una imperfezione determinata dalla vicenda delle banche messe in liquidazione, Etruria, Marche, Ca.Ri. Chieti e Ferrara, Popolare di Vicenza e Veneto Banca, alcuni clienti delle quali, considerati depositanti, vennero indotti ad acquistare azioni delle stesse, dimostratesi poi carta straccia; per questo motivo costoro, pure essendo chiamati “depositanti”, effettivamente sono “azionisti”; ma, essendo stati tratti in errore dalle banche incriminate, beneficeranno anch’essi del Fir, ma in misura ridotta al 30 per cento. E’ palese la contraddizione, ma il legislatore ha ritenuto di concedere loro un parziale indennizzo.