Il Sud ed i nodi delle autonomie differenziate
Le autonomie differenziate possono rivelarsi per il Mezzogiorno un’opportunità, o una trappola.
Dipende dallo spirito di indipendenza da ideologie e da appartenenze partitiche degli eletti nelle Regioni del Sud. Senza pregiudizi né omissioni di responsabilità c’é da mettere in campo un sano trasversalismo come elemento fondante di un nuovo patto di cittadinanza politica. Con ripicche elettoralistiche e rivalse geopolitiche si rischia di immiserire le stesse ragioni che motivano il diritto di accesso e fruizione, in uguale misura sul territorio nazionale, ai servizi essenziali garantiti dalla Costituzione.
La soddisfazione differenziata di bisogni essenziali é materia datata nel dibattito sul divario Nord/Sud e c’é la preoccupazione di una ulteriore divaricazione. La questione é nell’agenda del Governo e coinvolge tutte le forze politiche in campo: ciascuna di esse di maggioranza ed opposizione ha responsabilità decisionali pregresse ed attuali.
Si tratta di una materia complessa che trae origine dal caos del titolo V della Costituzione riformato nel 2001. Sulla base della relativa normativa si sono attivate le Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna per rivendicare autonomie in più competenze. La relativa articolazione, con implicazioni di ordine fiscale e finanziario, é stata calata in un’intesa abbozzata a Palazzo Chigi con il Governo Gentiloni alla vigilia del rinnovo del Parlamento.
Con il cambio di guardia dal PD a Lega/5S, altre Regioni, quasi punte da una sorta di epidemia, si sono attivate anch’esse per il conseguimento di ulteriori autonomie ed altre ancora hanno pavimentato dubbi su possibili discriminazioni a favore delle aree più ricche ed in danno di quelle più povere.
A parte le coloriture politiche delle singole Regioni ci sono da mettere in conto anche dati storici che non vanno sottaciuti sull’efficienza dei rispettivi Governi locali e la diversità di risorse redistribuite non sempre coerenti con i bisogni reali di ciascun territorio.
Nel primo caso in vetta alla classifica ci sono le Regioni del Centro/Nord, nel secondo caso ci sono le Regioni meridionali le cui condizioni risultano aggravate da inefficienze amministrative e gestionali. Sono questi i buchi neri in cui é sprofondato il senso di solidarietà da parte di comunità politiche incamminatesi nei rispettivi territori su percorsi divergenti.
Sul punto si è sviluppato un antagonismo di valori, per cui il Sud sarebbe infestato da diavoli ed il Nord sarebbe la dimora degli angeli. Al di là della metafora, dove stanno Inferno e Paradiso, è interesse comune a tutte le forze politiche mettere mano, dopo tanti guasti prodotti da una riforma maldestra, all’attuazione delle norme sulle autonomie in maniera organica e non per intese bilaterali ricercate nelle stanze di Palazzo Chigi. Ne ha titoli e poteri il Parlamento, dove gli eletti nelle Regioni meridionali possono far valere il peso dei loro territori.
É’ la classica occasione in cui si può dire che tutti i mali non vengono per nuocere se vengono al pettine. Il problema è se “c’è il pettine”, osservava Leonardo Sciascia a proposito dei Governi inefficienti della Sicilia dotata di autonomia speciale. Come dire che quando le autonomie, anche ultra rinforzate, non funzionano, è la mala politica a prevalere.