La netta, anzi nettissima, vittoria di Nicola Zingaretti alle primarie del Partito Democratico, impone qualche commento e qualche riflessione.
A scrutini conclusi Zingaretti vince questa competizione raggiungendo il 69 per cento dei consensi, quindi ben oltre il 50% previsto per la carica di Segretario del PD. I suoi concorrenti hanno ottenuto risultati modesti: Maurizio Martina si è fermato al 19 per cento, Roberto Giachetti al 12 per cento, bene al di sotto delle previsioni.
Ma il risultato più eclatante e significativo è stato quello dell’affluenza ai gazebo del voto: 1 milione e 800 mila votanti, ben oltre il tetto massimo di 1 milione che il partito aveva previsto; praticamente il numero dei votanti è stato pari a quello del 30 aprile 2017 che confermò Matteo Renzi alla Segreteria del PD, pur’esso con il 69.per cento di voti.
Il vero vincitore di questa competizione, pertanto, si può ben dire sia stato il popolo della sinistra, intendendo per tale non solo chi è sempre stato schierato a sinistra ed è rimasto fedele a questa ideologia anche nei periodi di stanchezza, ma pure coloro che, delusi e scoraggiati da precedenti esperienze, hanno dirottato, nelle ultime elezioni, i loro voti altrove, e certamente in maniera consistente verso il partito che più di altri raccolto consensi da quei sentimenti di sfiducia e frustrazione, vale a dire il M5S. Il che fa ben sperare che, come è già avvenuto nelle due recenti e limitate consultazioni elettorali, alle prossime elezioni i risultati saranno più equilibrati e ridaranno ai vari partiti il giusto peso.
Altra considerazione è la data scaramantica delle elezioni, vale a dire quel mese di marzo che tanti disastri ha portato ai partiti tradizionali e al Paese: fatidica fu, infatti, quella del 4 marzo 2018 che vide il tracollo del PD, ma anche di FI, con un massiccio spostamento di voti al M5S, che intercettò molti della sinistra, e della Lega, la quale intercettò quelli di FI e FdI. A parte, poi, la data del 4, che ha portato diverse sfortune proprio alla sinistra, iniziando dal risultato del Referendum del 4 dicembre 2017 sul quale Matteo Renzi aveva giocato il tutto per tutto sulle modifiche costituzionali.
Ma, considerazioni scaramantiche a parte, il risultato di queste primarie sta a significare anche che ormai il “renzismo” può dirsi definitivamente archiviato; due dei tre canditati, e cioè Martina e Giachetti, rappresentavano, nel bene e nel male, proprio ciò che rimaneva, all’interno del PD, di Renzi e della sua politica, compresa la giovanile esuberanza del rampante segretario orientata alla famosa rottamazione che, alla fine, tanto bene al suo propugnatore non ha portato, visto che Matteo Renzi, purtroppo, da combattivo rottamatore, è finito per essere il rottamato; e lo dico con una punta di amarezza in quanto sono stato un sostenitore di Matteo Renzi e del suo fervore di cambiare in breve tempo la politica italiana e, segnatamente, della sinistra.
Nicola Zingaretti, pure essendo abbastanza giovane (nato l’11.10.1965) ha quasi un decennio più di Matteo Renzi (nato l’11.01.1975), ma probabilmente è proprio questo decennio che lo rende più riflessivo, mano irruente, più persuasivo; e se a questo si aggiunge il carattere, Zingaretti concentra in se quelle caratteristiche che il popolo della sinistra si aspetta dal massimo esponente del PD, principalmente la moderazione nei discorsi, la pacatezza nelle valutazioni, la mancanza di spigolosità nelle considerazioni sugli altri personaggi dello stesso schieramento.
Zingaretti ha già dato prova delle sue doti inclusive, sia durante le campagne elettorali che lo hanno portato alle precedenti vittorie politiche (si è formato alla scuola giovanile del PC, ha una lunga carriera politica nell’ambito del PC e del PD, è stato parlamentare europeo, è stato sempre molto vicino ai capi carismatici del partito, poi Presidente dalla Provincia di Roma e, infine, Governatore della Regione Lazio), sia appena eletto nuovo Segretario allorquando, a chi lo stimolava a prendere le distanze da Matteo Renzi e dalla sua politica, ha replicato “Dobbiamo rassicurare, non dividere”, e ha concluso “I nostri nemici sono al governo, non nel partito”, facendo un’apertura per una Segreteria unitaria ed a Carlo Calenda come candidato alle prossime elezioni Europee. Probabilmente è proprio per queste doti di tolleranza, disponibilità al dialogo, avversione per le posizioni intransigenti e di rottura che l’ex Premier, Paolo Gentiloni, anch’egli persona mite, tollerante, inclusiva, lo ha fortemente sostenuto.
Speriamo che il fuoco contro Zingaretti provenga solo dagli avversari fuori del PD, e non sia vittima di quel “fuoco amico” che ha portato non solo alla distruzione di Matteo Renzi e del “renzismo”, ma ha minato il PD con la fuoriuscita di tanti personaggi che, se fossero stati più tolleranti verso il rampante e spigoloso Renzi, avessero accettato il giovane ex Segretario, avessero cercato di avviare con lui un dialogo piuttosto che la guerriglia che ha portato alla rottura, avessero smesso di fare i “capi-bastone” e fossero stati meno saccenti, probabilmente sarebbero stati più utili alla sinistra ed avrebbero evitato i guai che l’attuale governo giallo-verde sta procurando al Paese e ai cittadini tutti; probabilmente avrebbero avuto ancora un ruolo all’interno del PD e non sarebbero finiti in minuscoli partiti che non valgono più nulla.
In conclusione, se la storia è fonte di esperienza anche in politica, quella recente lo è molto di più. Rifletta il nuovo PD, e tutti i suoi esponenti, Renzi compreso, si coagulino tutti intorno a Zingaretti e cerchino di far risalire al PD la china, per evitare che, col tracollo al quale si avvia sempre più rapidamente il M5S e i successi che sta guadagnando la Lega, il Paese possa essere consegnato su un piatto d’argento nelle mani di Matteo Salvini.