Mai come adesso, forse, si fa fatica e l’aria, tutta intorno, è bella pesante.
Ci sono, in gioco o, se preferite, sul palcoscenico, modelli di potere contrapposti che si urlano contro, continuamente.
Un palcoscenico dell’istante, eterno, sul quale passa e trionfa chi la fa, anzi, chi la dice più grossa e roboante: da chi litiga continuamente con i capi di stato dei Paesi amici a chi va contro, duro e puro, il buon senso del vivere comune. E succede, pure se facciamo finta di niente, quasi tutti i giorni.
Non interessa difendere l’una o l’altra parte: a qualcun altro lasciamo questo arduo compito.
Il tema è, invece, guardare le cose andando un poco più in alto, per vederle a distanza e magari riuscire a respirare aria migliore.
Per un istante (ma solo per uno sennò rischio di prenderci gusto) mi immagino di venire da un altro pianeta. Come se fossi un marziano del tutto ignaro di come funziona quaggiù, nel nostro Bel e Strano Paese.
Provo questo divertente svago d’evasione, e all’improvviso c’è una domanda che si stende davanti a me: se siamo, adesso, un Paese che è continua contrapposizione tra due modelli di fare e urlare politica come facciamo ad andare avanti? Come è possibile che in questo casino non siamo ancora caracollati?
Come facciamo, serenamente quasi, a svegliarci, incravattarci e recarci in Ufficio tutte le mattine?
In un Paese più o meno “normale” – semmai ne esiste ancora uno – tutto questo creerebbe semplicemente confusione, caos, immobilità totale.
Negli Stati Uniti, ad esempio, che magari di democrazia ne capiscono qualcosina visto che è da oltre duecento anni che vanno avanti, è bastato un mancato accordo tra le due principali forze politiche, o meglio tra il Presidente e la maggioranza dei Democratici per bloccare anzi paralizzare letteralmente per un mese quasi il funzionamento dell’Amministrazione Pubblica. Il caos praticamente.
Da noi questo non succede, perché?
Una risposta, se proprio la vogliamo “acchittare”, sta, come sempre, nella storia recente e passata.
Siamo un popolo che, forse perché vissuto e pasciuto “ammiezz o mar”, si è sempre trovato a dover andare d’accordo con tutti quanti e quindi da sempre abbiamo dovuto costruire e ricercare tutte le soluzioni possibili con cui, alla fine, metterci d’accordo.
Il marziano di prima troverebbe un popolo profondamente e innatamente anarchico: da noi qualsiasi cosa che sa di regola, amministrazione e governo, a volte ci pare come un peso, un qualcosa che limita e impedisce il nostro libero e creativo arbitrio.
Diamocelo pure, jamm bell, siamo fatti di consuetudini, comportamenti e atteggiamenti non razionali, gli “animali spirits” di cui parlava Keynes, che intervengono e condizionano, forgiano le scelte che compiamo e che, comunque vuoi o non vuoi, hanno un impatto sulla vita degli altri, di chi ci sta attorno.
Esiste, insomma, un governo immateriale, invisibile, fatto della sostanza anarchica e molto antica del tirare a campare che da sempre ci contraddistingue, ci salva, ci rende – semplicemente – quello che siamo. E così andiamo avanti, a volte, addirittura, riusciamo pure a correre tirando fuori grandi eccellenze. Per fortuna.
E andiamo avanti, il marziano che è in me si sorprende, soprattutto grazie al lavoro sottile e silente, ma pesante e denso, delle imprese, piccole e medie, soprattutto, che rappresentano il tessuto del bel vestito che ci mettiamo ogni giorno. Per fortuna.
È qui che, in questi momenti, soprattutto, che ci sta il lavoro: quello fatto di fatica, sudore, necessità di innovare, non per essere “radical innovator chic”, ma semplicemente perché innovare è la soluzione per sopravvivere e crescere sul mercato della competizione nazionale e internazionale.
A questo punto il Marziano dovrebbe tornarsene su Marte, ma mentre sta tornando alla sua navicella fiammante parcheggiata (pure su Marte si usa) in doppia fila vicino Campo Marzio, dalle parti di Montecitorio, ci ripensa n’attimo. Si guarda intorno e gli viene voglia di rimanere.
Il Paese di chi urla e chi non capisce, bene, da che parte andare è il Paese della Decadenza, quella della monnezza sotto al Parlamento, e della Grandezza, del made in Italy e delle concrete eccellenze di assoluto rilievo che il Mondo, tutto quanto, ci invidia.
Il marziano, alla fine, si guarda attorno e decide che ci vuole rimanere qua.
Per tutti quelli che ogni giorno vedono oltre il palcoscenico dell’istante.
Per tutti quelli che, ogni giorno, senza stress ce la mettono tutta quanta, fino all’ultima goccia, per costruire ponti piuttosto che dividere.