Non avrei mai immaginato di dover rivivere, a distanza di tanti anni, la tragedia di Vermicino, di quel bimbo caduto nel pozzo che, nonostante gli sforzi e la generosità di tanta gente, non si riuscì ad estrarre vivo.
Ho detto rivivere, non ricordare, in quanto quella tragedia venne vissuta in prima persona, insieme a me, da milioni di italiani, che rimasero incollati alla Tv per giorni, fino a quando le trasmissioni non vennero quasi oscurate in quanto, venendo riprese in diretta, il caos che si era formato intorno al pozzo della tragedia fu tale che anche i soccorsi, già carenti e in difficoltà per l’inconsueto avvenimento, stentavano a organizzarsi.
Probabilmente quell’evento fu il primo mediatico in Italia, il primo esperimento di una trasmissione televisiva improvvisata in diretta; nel nostro paese eravamo abituati alle dirette televisive di partite di calcio e avvenimenti simili fuori degli studi televisivi, ma preventivamente organizzate, raramente era capitato di dover organizzare all’improvviso una diretta Tv, per giunta di una disgrazia che coinvolse, all’epoca, migliaia di persone concentrate in uno spazio abbastanza ristretto.
All’epoca ci meravigliavano di trasmissioni televisive in diretta di TV statunitensi, riguardanti avvenimenti straordinari e imprevedibili, ma lì dal punto di vista tecnologico, organizzativo e anche legale sono sempre stati all’avanguardia, davanti a noi di decenni: negli Usa le riprese in diretta di un avvenimento erano esperienze quasi quotidiane tant’è che, oltre ai furgoni delle emittenti TV con tanto di antenne paraboliche e telecamere sui tetti, alla polizia che recintava i luoghi, e al folto pubblico che premeva sui recinti che circoscrivevano le zone delle operazioni, spesso comparivano anche i furgoni che vendevano i panini con “hot-dog” (salsicce) e bibite: come una sagra paesana.
Tutto questo meravigliava noi italiani, ma dalla tragedia di Vermicino in avanti le cose cambiarono e oggi siamo perfettamente allineati.
Anzi, pure a Vermicino, nei tre giorni che seguirono la scomparsa del bambino ed il caos che ne seguì, con le circa 10.mila presenze sul posto, tra le altre cose vedemmo anche i furgoni con panini e bibite.
Dicevo che vi sono accadimenti ai quali le persone sensibili non si abitueranno mai, specialmente se coinvolgono bambini; alla morte di un bambino, avvenuta in circostanze tanto drammatiche, non ci si può abituare, ed ecco perché la tragedia del bimbo morto nel pozzo a Totalán vicino Málaga, capitale dell’Andalusia, a sud est della Spagna, mi ha fatto rivivere il dramma di Vermicino, che all’epoca vissi in diretta, forse ancor più di quello di Julen, ma con la stessa intensità emotiva di allora.
Ora a Vermicino, comune vicino Frascati, località Selvotta, la zona della tragedia è quasi irriconoscibile in quanto il posto si è arricchito di fabbricati rurali, ben messi; ma all’epoca, giugno 1981, trent’otto anni fa, quando Alfredino Rampi, di sei anni, scivolò nel pozzo, era un posto totalmente agricolo, con poche case coloniche e molto terreno circostante, e di quei pozzi artesiani ce n’erano parecchi per innaffiare i campi.
Alfredino, la sera del 10 giugno 1981, tornando da solo, dopo una passeggiata con la famiglia, verso l’abitazione dei nonni, cadde in un pozzo scavato di recente in un campo vicino che, per fatalità, era rimasto senza copertura, e per questo motivo il proprietario di quel campo venne poi arrestato con l’accusa di omicidio colposo.
Tre giorni durarono i tentativi di salvarlo; il bimbo era caduto a testa in giù, ma era vivo e vigile, e rispondeva alle domande che gli venivano rivolte attraverso un impianto di amplificazione, attraverso il quale un Vigile del fuoco riuscì a parlargli per dargli conforto e comunicargli che i soccorritori stavano per estrarlo, pietosa bugia per dargli speranza; purtroppo i numerosi tentativi, molti improvvisati da persone piene di buona volontà e abnegazione, alcune delle quali si calarono nel pozzo nell’inutile tentativo di afferrarlo e portarlo su, risultarono inutili e dopo tre giorni ci si dovette arrendere in quanto anche gli interventi più tecnici, organizzati dai Vigili del fuoco (pozzo parallelo e tunnel di collegamento), a causa delle caratteristiche del sottosuolo, si rivelarono lenti e inutili; dopo tre giorni dalla caduta il bimbo non diede più segni di vita, ma si dovette attendere il successivo 11 luglio per estrarlo, mantenendolo ibernato nel tunnel mediante emissione di azoto liquido.
Oggi la storia si è ripetuta, con una vicenda drammaticamente simile a quella di Alfredino Rampi. Dal racconto del padre di Julen abbiamo appreso che la famiglia aveva organizzato di trascorrere un pomeriggio in campagna nel terreno di proprietà di un parente; nel mentre preparavano da mangiare, con un occhio al piccolo Julen, che giocava con una amichetta coetanea, si erano un momento distratti e lo avevano visto allontanarsi; quando avevano focalizzato il pericolo oramai era oramai troppo tardi, non erano riusciti a raggiungerlo e lo avevano visto precipitare nel pozzo poco distante.
Dopo tredici giorni di frenetica attività per tentare di estrarlo in tempo, Julen è stato tirato fuori cadavere; e lo strazio di questa morte non può essere mitigato dalla certezza che il piccolo è morto subito dopo la caduta in quel budello di circa cento metri di profondità, largo appena venticinque centimetri, un buco lungo e stretto nel quale a stento si è riusciti a infilare qualche tubo per pompare aria e qualche sonda per ascoltare qualche segnale.
Appena scomparso, il padre aveva tentato di infilarsi nel cunicolo e lo aveva sentito piangere e aveva cercato di parlargli, ma era stato tutto inutile: il piccolo Julen aveva raggiunto in cielo il fratellino Oliver che, nel 2017 era morto improvvisamente per un attacco cardiaco a soli tre anni mentre era in spiaggia con i genitori.
Due storie simili, quelle di Alfredino e Julen, due famiglie distrutte da due tragedie analoghe, due bambini precipitati in un buco nero che in tante favole viene ai bimbi raccontato per metterli in guardia dai pericoli che corrono, ma che in questi due casi si è rilevato una drammatica realtà: l’orco che ha ghermito i due poveri bimbi.
All’epoca della morte di Alfredino i social non esistevano, e la gente commentava l’accaduto a voce nei capannelli che si formavano per esprimere il dolore e il raccapriccio.
Oggi i social si sono scatenati e migliaia sono stati i commenti tra i quali riporto uno dei più toccanti: “Da solo in quel pozzo, al freddo, lacerato dalla fame e senza la mano della mamma a proteggerti! Tutti noi abbiamo sperato fino all’ultimo in un miracolo… Riposa in pase piccolo angelo”.
Quando muore una persona anziana ce ne facciamo una ragione; quando muore un bimbo non c’è ragione che tenga, solo la certezza, per i credenti, che è andato ad aumentare la schiera degli angeli del Paradiso.