La festa in onore di Sant’Antuono (ovvero Sant’Antonio Abate), di cui oggi si celebra la ricorrenza, è una festività molto sentita dalla tradizione popolare. Essa rappresenta un momento storico, culturale, artistico–folcloristico. E’ un mix di religiosità, folclore, tradizioni e partecipazione popolare in cui il culto, inteso come devozione al Santo, si alterna all’aspetto pittoresco.
Sant’Antonio è il protettore del fuoco. Titolo che, in realtà, gli deriva da alcune leggende. Secondo una di esse Sant’Antonio avrebbe rubato il fuoco per permettere agli uomini di riscaldarsi e farne buon uso. Sarebbe sceso all’inferno e, dopo aver acceso il suo bastone, sarebbe tornato sulla terra. Secondo un’altra leggenda Sant’Antonio nacque da madre sterile, la quale, pur di avere un figlio, strinse un patto con il diavolo. All’età di dodici anni, come convenuto, Antonio, o meglio Anduone, dovette abbandonare la madre e andare a vivere con i diavoli, che lo nominarono protettore dell’inferno.
Il significato di questi fuochi, generalmente interpretato come purificatore, può essere un segno preciso di relazione con il mondo degli inferi, con la morte; esso fa parte di quel viaggio sotterraneo nel corso del quale gli uomini eseguono una serie di riti propiziatori per favorire la germinazione del seme per cui Sant’Antonio risulta uno di quei “santi ambigui i quali hanno alcuni tratti che li avvicinano alle potenze demoniache”.
Perché Sant’Antonio nell’iconografia sacra è sempre raffigurato insieme a un maiale? E perché l’abate eremita ha un bastone con un manico a forma di T? Il bastone su cui si appoggia è spesso a forma T, o in alternativa può comparire la lettera tau sulla sua tonaca, all’altezza della spalla. Questo simbolo richiama la croce egizia, antico simbolo di immortalità poi adottato come emblema dai cristiani alessandrini. Secondo un’altra interpretazione la lettera tau allude alla parola “thauma”, che in greco antico significa “prodigio”.
Passiamo al maiale, compagno inseparabile del santo in tutte le sue rappresentazioni. Nel corso del medioevo il maiale, che aveva ancora l’aspetto del cinghiale, era infatti l’animale allevato dai monaci antoniani e secondo la tradizione il suo grasso era un antidoto contro l’herpes zoster, noto come il fuoco di sant’Antonio. Al maiale si sono quindi aggiunti altri animali, e l’abate è diventato il protettore di tutti gli animali domestici e della stalla.
Il fuoco, il bastone, l’animale divennero presto i principali simboli devozionali legati al culto di sant’Antonio abate e sono ancora oggi presenti nella tradizione religiosa popolare. I falò di sant’Antonio abate, che si accendono in moltissimi paesi, sono una pratica caratteristica ed affascinante della tradizionale vita comunitaria; così come lo è la tradizione, molto sentita in svariati luoghi, di portare gli animali dell’aia a ricevere la benedizione ecclesiastica.
Sant’Antonio abate è inoltre celebrato come patrono dei vigili del fuoco e dei fornai, tutti coloro che hanno a che fare con il fuoco vengono infatti posti sotto la sua protezione in onore del racconto che vedeva il Santo addirittura recarsi all’inferno per contendere al demonio le anime dei peccatori, ma è anche patrono dei macellai, dei salumieri, degli animali domestici e del bestiame.
Pare che il giorno a lui dedicato cada nelle vicinanze di antiche feste pagane in onore del dio celtico Lug, venerato in area germanica. Lug era colui che risorgeva con la primavera, figlio della grande madre celtica cui erano consacrati i cinghiali e i maiali, animali anche in precedenza dedicati alle divinità protettrici della fertilità, come Demetra, o la latina Cerere.
Altra tradizione, profondamente legata alla devozione di Sant’Antonio, è quella di accendere fuochi in suo onore. Un rituale antico e denso di significati, caduto in disuso con l’avvento della modernità e la conseguente scomparsa dell’allevamento diffuso, ma recentemente riaffiorato grazie anche a una crescente sensibilità verso il mondo animale. L’uso cerimoniale del falò è carico di significati universali ben noti alle comunità agricole arcaiche. Non a caso è proprio nel cuore dell’inverno che si celebra la festività popolare di Sant’Antonio Abate: accendere un fuoco votivo nelle fredde notti invernali equivale alla “rottura delle tenebre” per generare uno spazio di condivisione e di socialità.