E’ vero quanto afferma, nell’intervista che pubblichiamo oggi, il dirigente della Regione Campania Antonello Barretta, e cioè che all’esterno la nostra città gode di una eccellente reputazione. E anche meritata. Forse, anzi, togliamoci pure il forse, il più delle volte non lo meritiamo noi cavesi, nel senso che in più di un’occasione con i nostri comportamenti, la nostra ignavia, qualche nostra negligenza e scarsa cura dei dettagli, facciamo di tutto per omologarci ad altre realtà che poco apprezziamo e da sempre ritenute, anche a torto, meno evolute della nostra.
Dal dottor Barretta, persona autorevole non solo per il ruolo dirigenziale che occupa, ci arriva anche una conferma di quella che è una nostra convinzione da tempo maturata. Parliamo dell’impoverimento qualitativo della classe dirigente, comune a tutta la società italiana, ma che nella nostra città è più marcato, “con un manifestato disimpegno sociale e culturale, che sta minando la capacità propositiva e di innovazione, che invece aveva caratterizzato i decenni precedenti”. E in ciò, nessuno si senta escluso, compreso chi scrive.
E’ questo, per il nostro intervistato, il punto debole della nostra città. Un’affermazione da noi pienamente condivisa, nella convinzione, come spesso abbiamo rilevato e denunciato, che negli ultimi decenni si è verificato un evidente, progressivo e, alla fine, massiccio ritorno al privato di una parte sempre più consistente e rilevante della migliore borghesia professionale e culturale di questa nostra città.
Il risultato è stato sempre più evidente e devastante negli anni, ovvero l’affermarsi di una classe dirigente, in particolare quella politica, sempre più modesta se non addirittura scadente, politicamente miope, amministrativamente pavida, spesso segnata dal tarlo di un malcelato relativismo etico.
In breve, negli ultimi anni si sta realizzando sempre più il trionfo della mediocrità, che riguarda buona parte della classe dirigente cittadina e nella sua quasi totalità, senza distinzione di schieramento e orientamento, il nostro personale politico.
Non mancano nell’intervista, in verità, molti altri spunti di riflessione.
Tra questi, va segnalato che uno dei mali cittadini da curare è quello di una “crescente rassegnazione che le cose andranno sempre peggio”, invece di reagire con “un rinnovato spirito di impegno civico e sociale”.
Allo stesso modo, merita la dovuta attenzione un’altra affermazione che per noi cavesi sembra essere diventata una condanna, ovvero la “presunzione che le posizioni acquisite possano restare tali a prescindere da un rinnovato impegno”. Una sicumera che ci fa perdere punti rispetto ad altre realtà a noi vicine che, nel frattempo, fanno passi avanti da gigante, com’è giusto ed auspicabile che sia.
Non a caso, il nostro intervistato, tra le cose del passato, invoca il ritorno del senso di appartenenza un tempo molto più accentuato e fondato sull’amore per la città, che non è quello degli slogan elettorali o dalle frase fatte sui social del tipo “Io amo cava”, bensì fondato sui comportamenti che incidono sulla qualità della vita cittadina, sul suo decoro e sulla sua fruibilità e gradevolezza. In altre parole, non parcheggiare dove capita, non essere caciaroni, non insozzare con i rifiuti lasciati con “licenza poetica” un po’ ovunque, e via di questo passo. Insomma, avere maggiore rispetto per il prossimo, per le buone regole della convivenza civile, delle norme e quindi della legalità, senza aspettare che ci debba essere sempre un vigile urbano o l’Amministrazione comunale a imporne l’osservanza. E’ in ciò, innanzi tutto, che dovrebbe essere quotidianamente declinata la frase “Io amo Cava”.
Sì, perché come sostiene nelle battute finale dell’intervista il dottor Barretta, la nostra città conserva ancora un suo fascino. Si tratta di un patrimonio, di un’eredità che ci è stata generosamente trasmessa dai nostri padri. Non sciupiamola per sciatteria, menefreghismo, piccineria o anche per maleducazione ed egoismo. E’ sì una questione di amore, ma anche un nostro concreto interesse.