Nei giorni scorsi il nostro giornale ha pubblicato un intervento del coordinatore cittadino di Meridione Nazionale, un’associazione politica chiaramente di centrodestra, anzi, forse più propriamente di destra. Era scontata la critica politica, peraltro molto soft (pure troppo, in verità), rivolta all’attuale Amministrazione comunale di sinistra emersa dall’intervento. Un po’ meno, ma fino ad un certo punto, è stato, invece, l’attacco rivolto alle opposizioni cittadine, visto che tra queste non può non essere annoverata anche l’associazione Meridione Nazionale.
Per farla breve, ne è venuta fuori una posizione politica singolare e paradossale. Una piccola componente dell’opposizione che critica con durezza le altre forze delle opposizioni, ben più consistenti, accusate di essere assenti o silenti.
Singolare, dicevamo, ma solo all’apparenza. Sì, perché l’opposizione nella nostra città fa davvero difetto. Forse non è del tutto silente o assente nel suo insieme. Forse, in alcune sue componenti, è addirittura complice dell’attuale Amministrazione comunale. Forse è distratta e finanche confusa politicamente. Di sicuro è divisa, quasi sempre frammentata persino all’interno dei vari raggruppamenti di appartenenza o riferimento politico-culturale (centrodestra, sinistra, forse persino nei cinque stelle). In una parola, di certo è incapace. Politicamente incapace di rappresentare un’alternativa almeno lontanamente credibile.
Certo, non è facile di questi tempi mettere su un’opposizione come Dio comanda, e cioè di ampio respiro politico-programmatico. E lo stesso discorso, purtroppo e forse per certi versi a maggior ragione, vale per chi è stato chiamato a governare una comunità.
Un tempo, quello della Prima Repubblica, era tutto più semplice. C’erano i partiti, che avevano tanti difetti, alcuni rivelatosi poi devastanti, ma in compenso erano il luogo deputato al confronto democratico di base, a raccogliere le istanze della gente e a rielaborarle in proposte politiche. Erano i luoghi dove la politica in prima istanza compiva la sintesi degli interessi contrapposti, mediandoli e conferendo loro dignità progettuale. Ed erano lo strumento, la cinghia di trasmissione che trasferiva il particulare guicciardiniano nelle istituzioni democratiche, cui era ed è demandato il compito di elevare il tutto nell’interesse della generalità. Certo, non sempre le cose filavano lisce e non mancavano le criticità, e neanche qualche corto circuito, ma il sistema tutto sommato funzionava e ha retto per un bel po’.
Oggi, purtroppo, viviamo un’altra epoca, ma è inutile rimpiangere quel che è stato e che non tornerà. I partiti attuali sono scatole vuote, e i movimenti hanno controindicazioni pure peggiori. Fatto sta che la politica, in una democrazia rappresentativa come la nostra, trova ora, e già da qualche anno, grosse difficoltà nel portare a sintesi gli interessi plurali della società. E questo avviene a tutti i livelli. A Roma così come a Cava de’ Tirreni. E così succede, come scrive l’amico Pino Pisicchio su “Formiche”, che «pezzi di popolo, orfani della politica, galleggiano nell’iperuranio digitale urlando rabbia e infatuazioni provvisorie, aspettando che qualcosa succeda».
Questo è il contesto in cui oggi opera, anzi, boccheggia la politica. Ed è con questa consapevolezza che vanno valutati, compresi, letti, i comportamenti e l’operato di chi fa politica.
Tornando alle cose di casa nostra, la difficoltà o, se preferite, la pochezza delle opposizioni, non fa bene innanzi tutto agli attuali governanti, che non ricevano alcun stimolo, nessuna sollecitazione a far meglio, anzi, li fa crogiolare nell’errata convinzione di essere loro stessi il meglio possibile. Questo, ovviamente, non li assolve dalla scarsa qualità della gestione della res pubblica. Ma ciò lascia il tempo che trova.
Ad ogni modo, la verità è che la classe dirigente cittadina, non solo quindi quella politica, vive, in alcuni casi anche egoisticamente, un sonno profondo, una sorta di narcosi. Certo, il primario anestesista è il sindaco Servalli. Credere però che sia tutto (de)merito suo è assolutamente sbagliato. Diciamo che lui e la sua compagnia allargata fanno bene il loro mestiere di addormentare la città, ma non devono sforzarsi più di tanto. E’ la classe dirigente cittadina nel suo insieme -dalla politica all’informazione, dall’imprenditoria alle associazioni di categoria, dal mondo della cultura al volontariato- che non discute e non si confronta in modo organico su un’idea di città e sulle sue linee di sviluppo, e che si accontenta se non addirittura si compiace di vivere nel luccichio dell’effimero e nella straordinaria ordinarietà del quotidiano. Una classe dirigente, in breve, che vive o si rassegna a vivere all’insegna di quei famosi versi di Lorenzo il Magnifico nella Canzona di Bacco: «chi vuol esser lieto, sia / di doman non c’è certezza».
In conclusione, c’è poco da stare allegri. La maggioranza che ci governa è quella che è. E le opposizioni, almeno per ora, sono messe assai peggio.
La vera questione, allora, non è quella di sostituire sic et simpliciter Servalli e i suoi, ma capire cosa verrà dopo, in termini di capacità progettuale e di gestione della cosa pubblica. E non è un’ipotesi per nulla remota che sia lo stesso Servalli a succedere a se stesso, aggiungendo così una mano di piombo al grigio di oggi. Allo stesso modo, non è da escludere (ma più che altro è un auspicio assai illusorio) che Servalli nel suo secondo mandato da anestesista si trasformi in rianimatore, cambiando così passo, innanzi tutto liberandosi di un po’ della zavorra delle diverse mezze tacche di cui ora è circondato dentro e fuori dal palazzo.
Il rischio più consistente e verosimile, però, è di cadere in ogni caso dalla padella alla brace. Vero è, tuttavia, che la speranza è sempre l’ultima a morire. Magari qualcuno, Servalli compreso (eventualmente folgorato come San Paolo sulla via di Damasco), tirerà fuori il classico coniglio dal cilindro… Non ci rimane che stare a vedere. Ad occhi aperti, però. Anzi, apertissimi.
31.12.2018 – By Nino Maiorino – Grande Direttore, mi piace l’immagine di Servalli prima anestesista e poi rianimatore. Sono onorato di collaborare a un giornale che sembra essere rimasto l’unico vero strumento di critica nei confronti di amministratori, gruppi di potere, lobby spesso prevaricatrici e in tanti casi poco rispettosi delle esigenze altrui che, pure se legittime, vengono continuamente ignorate. Ognuno tira acqua al suo mulino, costi quel che costi. L’ultima prova è lo sproloquio di Pasquale Falcone in favore della movida fracassona. Gli risponderò per le rime.