La politica si sa è anche lo specchio del mondo, o meglio, della società che viviamo. Ne rappresenta pregi, difetti, capacità, incapacità nell’affrontare problemi complessi che riguardano la vita di tutti quanti.
È una cosa, insomma, che non è buona o cattiva a prescindere ma dipende dalle persone che, concretamente, contribuiscono, o dovrebbero contribuire, a farla.
Pure noi, nel nostro piccolo: nella misura in cui quello che scriviamo o affermiamo, pubblicamente, contribuisce in un certo modo a definire, portare avanti e, magari, raggiungere gli interessi che ci riguardano tutti, come comunità e come Paese.
Nel nostro tempo, divertente a dire il vero, talvolta politica significa prendere una decisione di impostazione, “fare una scelta di campo”, “decidere dove stare”, “essere di parte”. Grossolano errore di comprensione e definizione.
Facendo un passetto indietro, a quando la politica ha preso nome e forma – nelle città stato dell’antica Grecia – politica significava tutto quello che poteva avere a che fare con la vita della “polis”, della città: tutto quello, insomma, che nel bene e nel male aveva influenza sulla vita dei cittadini. Non vogliamo nobilitare e nemmeno, al contempo, far tracollare di noia qualcuno. Ci basta solo sottolineare che, ad oggi, e si vede, abbiamo smarrito un certo modo e significato di fare politica.
Senza osannare nessuno – a destra, al centro, a sinistra – e nessuna epoca particolare, nessun semestre, nessun mese, nessuna legislatura. Nessuno coi baffi e nessuno col foulard e il sigaro. Non occorre.
Ma s’intravede, all’orizzonte, uno smarrimento complessivo di cosa significa, oggi, occuparsi della gestione della “cosa pubblica”. Immaginate tutti i nostri personaggi di punta del momento, tutti in fila che rimangono, a bocca aperta, di fronte alla stessa domanda: che cosa significa oggi fare politica?
Qualcuno forse potrà provare a rispondere ma, a naso, la maggior parte rimarrà preda del Silenzio. Paro paro al faccione a pera capovolta che ci sta nell’urlo di Munch.
Senza la sicumera dell’abbaiare quotidiano a chi la spara più grossa, tutto crolla. E quello che rimane, visto che poco ci sta, è una dimensione di tranquillo e spaventoso Vuoto, con la V grande.
Si vede la differenza bella grossa con chi qualcosa l’ha fatta o almeno ci ha provato.
Ma non è solo questione di fare e di non fare: il tema è che manca una componente fondamentale, innata, proprio cucita nella pelle di chi per forza di cose si torva a essere leader. Non perché cavalca un malcontento ma perché immagina una visione del domani, concreta e realizzabile. E su questa vince.
Null’altro se non una gioconda e salvifica capacità di poter, poi alla fine, essere sempre in sintonia con tutti e con tutto perché quello che conta, poi, è che la gente possa andare d’accordo tra loro piuttosto che pigliarsi a capelli con la Commissione europea. Mediazione, diplomazia, deformazione democristiana, fate voi come più aggrada, ma ce ne occorre almeno un pizzico.
Almeno per esser capaci più di parlare che di urlare e per uscire dal clima pesante di Infinita Campagna Elettorale in cui, pure se non abbiamo fatto niente di male, siamo capitati.
Ma non si tratta di voler esser buonisti, benpensanti e radical chic.
Si tratta di alzare lo sguardo e andare oltre. Pensare, razionalmente, che Qualcuno capace di parlare e provare a mettere d’accordo serve per rammendare e cucire assieme, parola per parola, i pezzi di Paese che, per vari motivi, sono andati per fatti propri. Chi a mare, chi in montagna, chi coi soldi all’estero.
Perché, poi – overament – solo così possiamo sfuggire a un Presente ingombrante fatto di giringirello sulla tav, sul debito, su Europa si o no. Asfissiante come una dittatura tanto da non farci proprio passare la voglia di pensare a una Cosa chiamata Futuro: tanto a che serve se dobbiamo abbaiare tutto il giorno?
Ecco, serve Qualcuno o Qualcosa che ci faccia parlare, che ci faccia mediare, che ci faccia, d’accapo come si faceva prima, mettere d’accordo le persone. Una delle cose più semplici del mondo se pensiamo che come esser umani siamo anzitutto empatici cioè capaci di leggere, e intuire, le emozioni di chi abbiamo di fronte.
Perché poi, quando tutto si ferma e le luci si spengono, questa rimane l’unica cosa, di Senso, con cui correre, a perdifiato, per costruire una visione di futuro.
Comune.