Storie ci sono che hanno la capacità di portarti lontano. E al contempo, vicino. Come se passeggiassi su terreni mai solcati e, in un momento, come se ci fossi sempre stato. Succede così coi libri, con quelli che non ti aspetti in particolar modo e che incontri per caso.
“La Commedia Umana” di Saroyan sin dalle prime pagine di porta lontano. Non sembra, anzi, sembra tutt’altro. L’opera inizia immergendo il lettore, consapevole o meno, in un medio paesino americano di inizio Novecento, e precisamente nel corso della Grande Guerra. Si intrecciano le storie di una famiglia, di due protagonisti, un bambino e suo fratello più grande di qualche anno. Lontane eppur vicine alla vita di ciascuno nato e cresciuto in un piccolo centro come la nostra Cava.
Ci sono le storie di un gruppo di ragazzi, una banda che gira per il Paese scoprendo il valore dell’amicizie e il mistero, tutto fatto degli anni dell’adolescenza, di esser parte di un gruppo, un piccolo branco con cui scoprire il mondo. E poi ancora il racconto incede sulle storie di chi in america ci è andato per fare fortuna come il venditore armeno che perde la pazienza, nella sua drogheria, pur di rendere contento il figlio mai contento. Storie antiche come la notte dei tempi eppure anche contemporanee simili al mondo per come lo conosciamo oggi in cui i figli, alla fine, rimangono sempre scontenti di quello che gli procurano i papà.
Poi, ancora, l’ufficio postale, dove lavora uno dei protagonisti, il fratellino maggiore, luogo di incontri e contaminazioni tra vecchio e nuovo e sintesi delle nascenti fobie sociali. La posta, con i telegrammi spediti dai soldati dal fronte, diventa l’emblema stesso dell’angoscia, sottile, dell’esistenza umana. Si lavora per consegnare alacremente telegrammi a tutta la città e, all’improvviso, il corriere si trova a dover consegnare un telegramma che annuncia la scomparsa di un figlio di famiglia, morto al fronte: il corriere, un ragazzo, si trova in frantumi perchè, nella consegna, partecipa al dolore puro della famiglia destinataria del telegramma. All’improvviso, da adolescente, il corriere, cresce assaggiando l’asprezza delle contraddizioni della vita. Dapprima l’euforia per la scoperta di un posto di lavoro, l’ebbrezza di svolgere un lavoro utile alla collettività e poi, all’improvviso, lo scontro, frontale, con la semplice e banale constazione dell’assurdità dell’esistenza umana.
Tutto questo è la Commedia Umana, commedia appunto, si capisce, perchè ciascuno dei personaggi, nella storia di Saroyan, recita un ruolo ben preciso e necessario anche agli altri, alla società. Con tutto il suo portato di rimpianti, gioia, dolore e serena rassegnazione. Leggere l’opera dello scrittore armeno, all’inizio è come prendere in mano, a tratti, “Post Office” di Bukowsky. Ovviamente con meno improperi ma con un ritratto molto simile, ugualmente fatalista, della società americana del tempo e, possiamo dire, di oggi. La “Commedia Umana” racconta, comunque, come siamo. Un gruppo sperduto di individui alla ricerca di sè stessi e che trovano realtà e identificazione solo grazie alla vita insieme agli altri, a quell’insieme di consuetudini di “paese” di cui nessuno, pur tra infinite lamentatio, non riesce mai e poi mai a fare a meno.
La stessa Roma, oggi, null’altro è se non un Paesone spaesato. Un insieme, informe ancora ma siamo fiduciosi che prima o poi qualcosa accada, informe di persone e valori confusi e diffusi.
La Commedia Umana, in cui ci si imbatte per caso quasi a meno che non si è intenditori veri e propri radicalmente chic, racconta di come siamo. Alla ricerca di un qualcosa che, come diceva qualcuno qualche anno fa, non è mai dato. Di una corrispondenza agognata e rincorsa, che, forse, non giunge mai.
E questo forse è proprio il bello della nostra individuale, e anche collettiva, commedia umana.