Sabato scorso, alla stazione della Leopolda di Firenze, la rappresentazione più lucida delle attuali dinamiche politiche italiane l’ha fatta Paolo Bonolis con quello che ha definito l’algoritmo della politica dei nostri tempi: “In tanti anni di profondo consumismo abbiamo perduto un concetto fondamentale della vita umana; cioè che ad ogni scelta corrisponde automaticamente una rinuncia. Oggi in politica le cose vanno così: chi governa fa delle scelte, chi non governa cavalca le rinunce che derivano da quelle scelte. E tutti noi, che pure condivideremmo le scelte ma non sappiamo più accettare le rinunce, sposiamo la protesta. Dopo un po’ chi protesta passa al potere e deve fare delle scelte. L’algoritmo si ripete. Siamo come criceti sulla ruota e corriamo, corriamo pensando di andare verso il futuro, ma siamo sempre lì”. ”.
La trovo una felice rappresentazione della democrazia dell’alternanza di questo inizio secolo. Con una postilla. Proprio perché l’algoritmo è chiaro a tutti, chi va al governo ormai si guarda bene da scelte che comportino rinunce, soprattutto se esse vengano immediatamente percepite come tali dagli elettori. Ma non è che nelle scelte dell’attuale governo non ci siano rinunce; è che non si vedono, perché saranno a carico di chi oggi neanche ci pensa, cioè dei ragazzi nati in questo secolo. È sulla loro pelle che la politica sta conducendo il suo gioco cinico.
La Leopolda 9, la kermesse di Matteo Renzi di quest’anno, ha detto poc’altro. Certo qualche bell’intervento, come quello di Rula Jebreal – “attenzione, la Shoa non è iniziata con le camere a gas, ma con le parole” – o quello di Pier Carlo Padoan sulla manovra, o ancora quello di Roberto Burioni sui vaccini. Molti i contenuti apprezzabili e condivisibili, ma, alla fine, nella mente non mi è restato che l’interminabile talk show animato da Matteo Renzi: un po’ Panariello e un po’ Fazio, un po’ Chiambretti e un po’ Formigli. E pur sempre lui, solo lui a gigioneggiare sul palco.
Ero stato, nel 2010, alla Leopolda 1, quella dell’annuncio della rottamazione. I gigioni sul palco, allora, erano due, Renzi e Civati. Tra un intervento e l’altro facevano i deejay. Sulla scena, però, non c’era posto per due. Ci sarebbe restato solo Renzi. Ero arrivato alla Leopolda 1 proveniente da Roma, dove avevo partecipato ad un bel seminario della Fondazione Democratica di Walter Veltroni sulla geopolitica contemporanea, durante il quale, da Cava de’ Tirreni, mi erano giunte notizie tali da indurmi a stracciare la mia tessera del PD. Come quando, in una coppia, un episodio determina la separazione: sembra che quell’episodio ne sia la causa, ma il rapporto era già in crisi da tempo. Arrivavo dunque a Firenze con qualche turbamento, vaghe speranze e molta curiosità: sarebbero riusciti i rottamatori a cambiare quel partito in cui non mi riconoscevo più? Ne uscii pieno di dubbi. Mi chiedevo se avevo assistito al funerale del PD o al suo battesimo. Ora, dopo nove anni, posso dire che avevo assistito ad entrambi. Al funerale del vecchio PD, quello del matrimonio senza amore tra DS e Margherita, ed al battesimo del Pd-R, il Partito di Renzi.
Ora, dalla Leopolda 9 sono tornato senza molti dubbi e con tre certezze.
Prima certezza: Renzi resta nel PD con un’attitudine meramente strumentale; il suo progetto non può prescindere da una buona parte di quanto resta dell’elettorato PD e non rompe gli argini con il partito, ma la sua testa è già altrove. Alla kermesse ha lanciato i Comitati Ritorno al Futuro, l’embrione del suo partitino.
La seconda: il suo progetto non ha presente né futuro. Vorrebbe proteggere il futuro, cioè i giovani, ma questi se ne renderanno conto solo tra un quarto di secolo, quando del Renzi politico si sarà persa la traccia. Ed intanto, per tutelare il futuro dei giovani, il progetto prevede rinunce per gli adulti dell’oggi. Sensato, ma inconciliabile con le fortune elettorali, senza le quali, in democrazia, non c’è trippa per gatti.
La terza: Renzi sarà il primo caso nella storia a fare il percorso inverso a quello a cui finora ci aveva abituati la politica-spettacolo. Avevamo visto attori e uomini della tv passare dallo spettacolo alla politica. Renzi sarà il primo caso nella storia di un politico che passa allo spettacolo.