scritto da Mariano Avagliano - 18 Agosto 2018 09:55

La Stanza Rossa

foto Michele Mari

La cosa bella dei libri è che te li ritrovi dentro il percorso che fai senza chiamarli, come per caso, ma forse ci sta pure un senso se capitombolano mentre annaspiamo in questo caldo agostano.

Sorprendono e qui sta poi, d’altra parte, la loro forza. Perchè poi, spiccia spiccia, sanno essere sempre attuali e rilanciare un messaggio: a chi lo vuole cercare, trovare e intendere, si capisce.

Pensavo, come tutti d’altronde, che il male pigro dell’Europa fossimo noi con le nostre ridanciane e lentezze e kafkiane angolature. Pensavo fossimo solo noi il paese della burocrazia e delle traveggole di carta bollata.

Mi sono ricreduto. “La Stanza Rossa” di Stridberg mi ha dato una nuova percezione: mi ha solleticato, molto, il girovagare del giovane Falk, intellettuale in erba, anzi poeta a dirla giusta, e le sue peripezie anche nella pubblica amministrazione locale dell’epoca. Se c’era un “Ente per il Pagamento degli stipendi” anche in Svezia, fatto da spocchiosi burocrati impegnati per giorni e giorni a decidere la marca e la misura della punta delle penne, allora siamo veramente a cavallo e ci sta posto per tutti quanti.

Si tratta della storia di un gruppo di giovani intellettuali, scandinavi, in bilico tra l’ordinario guadagnarsi il pane e la voglia di sfondare con le loro opere: un poeta, Falk, un pittore, Sellen e una nutrita serie di bohemienne, che si radunano, quasi ogni sera, nella Stanza Rossa, osteria di Paese trasformata, all’occasione in ciccioso Salon Literaire. Con tanto di orchestrina.

Sembra, all’inizio almeno sfogliando le prime pagine, la storiella classica del gruppo di intellettuali parigini che non sanno che fare e tirano freccette, facendo centro e non, ai critici matusalemme.

Ma poi, superando in un respiro lungo, le descrizioni ampollose tipiche del diciannovesimo, Strindberg cuce una trama tutta sua personale, locale, nel senso la cuce addosso al contesto della scandinavia dell’epoca.

In una costante tensione tra provincialismo e notorietà, tra borghesia ed etica protestante del capitalismo borghese, tra scapigliatura e buone maniere.

Ciascuno dei personaggi ha una trama da tessere: complessa, sorprendente e segnata da grandi e piccoli ideali. Quelli che comunque, volenti o no, animano la vita di tutti quanti noi.

Alla fine ciascuno trova la sua composizione. La sua formula di armonia. E lo stesso Falk, poeta puro all’inizio, esce conturbato, contaminato pesantemente dalle falsità e verità reali del mondo che impara a conoscere. A ciascuno i suoi successi, e insuccessi. A ciascuno il suo momento di notorietà alla “Stanza Rossa”.

Un ritratto interessante della Svezia dell’epoca. Un ritratto delle angoscie e piccolezze che, per le stramberie che abbiamo, ci rendono grandi ogni giorno.

Un ritratto che può far vedere anche che le cose sono, a volte, uguali ovunque. Quello che cambia e che le determina non è la temperie culturale di un Paese o il circolo degli eventi che ritornano – caro Gian Vico – ma semplicemente gli uomini con il loro modo di pensare e agire.

Ha iniziato a scrivere poesie da adolescente, come per gioco con cui leggere, attraverso lenti differenti, il mondo che scorre. Ha studiato Scienze Politiche all’Università LUISS di Roma e dopo diverse esperienze professionali in Italie e all’estero (Stati Uniti, Marocco, Armenia), vive a Roma e lavora per ItaliaCamp, realtà impegnata nella promozione delle migliori esperienze di innovazione esistenti nel Paese, di cui è tra i fondatori. Appassionato di filosofia, autore di articoli e post, ha pubblicato le raccolte di poesie “Brivido Pensoso” (Edizioni Ripostes, 2003), “Esperienze di Vuoto” (AKEA Edizioni, 2017).

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