Il 22 maggio 1978 venne approvata la legge 194 che legalizzò l’aborto ponendo fine ad una situazione di oscurantismo che fino a quel momento aveva visto il nostro paese, uno di quelli che fingevano di non vedere il problema nascondendosene le dimensioni ed i costi diretti e indiretti che gravavano pesantemente sulle donne che desideravano abortire, già gravate dai macigni dei dubbi, delle incertezze, dei timori di fare un passo del genere, peraltro affidandosi a persone di dubbia professionalità, spesso non medici, in strutture tutt’altro che garantite sotto ogni punto di vista.
La gestazione di un provvedimento legislativo di tale portata fu lunga e traumatica, in quanto tanti erano i condizionamenti contrari, non sempre etici, spesso strumentali, e non si sa quanto disinteressati.
Il primo e più ascoltato oppositore ad una qualsiasi norma in tale senso era, ovviamente, l’apparato ecclesiastico il quale, per ragioni etiche e religiose, considerando la vita umana sacra e inviolabile, in quanto originata dalla Superiore volontà padrone dell’intero mondo, non ammette che l’uomo possa in alcun modo inserirsi nella decisione di sopprimerla; e il feto viene considerato a tutti gli effetti un essere umano da rispettare fin dal primo momento del concepimento talché un qualsiasi intervento finalizzato ad interromperne la crescita, anche nel seno materno, è un delitto prima di tutto contro Dio, poi contro il genere umano.
Motivi rispettabilissimi, ai quali si contrapponevano le convinzioni e le motivazioni di coloro che, pure riconoscendo l’origine soprannaturale del processo generativo, non ritenevano che la portatrice di tale processo dovesse essere estromessa dalla decisione di portarlo avanti o meno; vi erano, poi, coloro che facevano risalire il concepimento ad un puro fatto chimico/biologico slegato da qualsiasi credenza religiosa; nell’unione di uno spermatozoo con un ovulo non c’è, per essi, nulla di divino, e, pertanto, era ingiustificata la pesante ingerenza delle autorità religiose.
Su tutto ciò si innestarono gli interventi dei medici, molti di essi contrari per motivi etici e di religione, ma tantissimi interessati piuttosto a non perdere un “business” sul quale tanti segretamente lucravano; pertanto venne in evidenza il fenomeno dell’obiezione di coscienza da parte del personale medico, parte fondata proprio sulle convinzioni etiche e religiose, ma in tantissimi altri casi solo su calcoli economici.
Dall’altra parte della barricata erano schierate anche tutte le organizzazioni che, dal 1968 in avanti, rivendicavano libertà di coscienza e di comportamento, formate specialmente da giovani insofferenti a qualsiasi costrizione e bavaglio, che intendevano gestirsi come meglio credevano in tutti i campi, non ultimo quello sessuale, relativamente al quale non dobbiamo dimenticare lo slogan, che tante giovani urlavano nelle piazze: “l’utero è mio e me lo gestisco io”: brutto ma efficace, che scandalizzò credenti e non credenti, ma che determinò uno dei mutamenti epocali della nostra società, con scelte e comportamenti che oggi, a distanza di mezzo secolo, oramai non solo non scandalizzano più nessuno, ma vengono accettati come una naturale evoluzione della “liberalizzazione” dell’essere umano da tutti i vincoli che lo tenevano imbrigliato; nessuno più si scandalizza della convivenza eterosessuale diffusissima, c’è chi ancora guarda con perplessità alle convivenze omologhe, oramai anch’esse legalmente consentite e formalizzate, ma per come vanno le cose tra breve non faremo più caso a due donne o due uomini che convivono, si sposano, si baciano in pubblico: magari avremo ancora molto da criticare sul desiderio di avere da parte di queste coppie, in un modo o in altro, un figlio, ma questa è un’altra storia alla quale pure ci abitueremo.
Ma lo spartiacque che fa comprendere come la società italiana stesse rapidamente cambiando è dato dal risultato del referendum abrogativo della legge sull’aborto; il 17 maggio 1981 il popolo fu chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di abrogazione della legge 194/78: i voti favorevoli all’abrogazione furono l’11,6% e i contrari l’88,4%. Una maggioranza schiacciante che sorprese tutti coloro che avevano ostacolato la legge ed avevano poi promosso il referendum, che dovettero rendersi conto che oramai, su alcuni problemi, non avevano più molta presa le vecchie concezioni etiche e religiose.
Ovviamente un quarantennio addietro le reazioni dei contrari all’aborto legalizzato furono molto più violente rispetto a quelle attuali contro le novità introdotte nei rapporti di coppia, e molto maggiori di quelle attuali che ancora contrastano il diritto del singolo a decidere sul suo fine vita che, benché oramai legalizzato, trova ancora qualche difficoltà ad essere realizzato, così come ancora persistono le difficoltà ad avvalersi della legislazione che riguarda l’aborto legalizzato presso strutture pubbliche molte delle quali, già vittime di svariate carenze, sono anche prive di personale medico disponibile, sia per carenze di organici, sia per obiezioni di coscienza.
A distanza di quarant’anni è opportuno fare qualche considerazione analizzando un dato: secondo una indagine fatta dall’ autorevole giornale Avvenire, organo ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana, che certamente non può essere accusato di essere favorevole all’aborto, dal 1978 a dicembre 2017 sono stati eseguiti circa 5.milioni e mezzo di aborti; numero rilevante che denota un fenomeno che, se non seguito da strutture pubbliche, certamente sarebbe sfuggito ad ogni controllo non perché gli aborti non ci fossero stati, ma perché sarebbero avvenuti nella clandestinità.
E allora tutto si può dire di questa legge, tranne che non abbia funzionato, anche perché in molti ospedali e altre strutture pubbliche, specialmente quelle maggiormente strutturate, accanto al personale chirurgico che esegue gli interventi, c’è quello che aiuta psicologicamente le donne che si avviano al sofferto passo, e non sono stati pochi i casi di donne che, adeguatamente assistite, hanno deciso di rinunziare all’aborto.