Permettetemi una considerazione a margine dell’indizione, da parte del sindaco di Napoli, per il 21 marzo di una “giornata senza campo, della disconnessione”. La società attuale definita liquida, cablata, tecnicamente progredita ed elettronicamente assistita, è in fondo una società irretita, alienante, ansiogena e fragilissima. Nell’era della comunicazione a livello globale, si vola da un capo all’altro del pianeta in una frenesia comunicatoria che finisce per non comunicare niente. Tablet, smartphone, computer permettono di inviare immagini, informazioni, notizie ma tutto si dissolve in un arco di tempo brevissimo, sommerso da nuove.
Si viaggia seduti davanti al monitor, illusi di comunicare, conoscere, ma superficialmente. Si è perso il contatto diretto, a faccia a faccia, e anche le espressioni, la mimica, l’espressività del corpo, dello sguardo, in un appiattimento senza coinvolgersi, una onnivora frenetica bulimia che tutto ingloba e di cui resta niente. Il mondo, percorso dalle autostrade informatiche, cambia velocemente e tutto si fa vacuo e amorfo. Il viaggiare esiste ancora ma se n’è perso il senso. Si ha la possibilità di spostarsi da un capo all’altro del globo ma non si coglie il senso del viaggio che non è tanto giungere alla meta ma il viaggio stesso. Il viaggio come esperienza vissuta è scomparso. Il computer non ha anima, non ha la capacità critica dell’uomo.
Nel tempo della crisi della carta stampata, del libro, entrambi mezzi di riflessione, informazione, sviluppo delle capacità critiche, mnestiche e della fantasia, si è persa la capacità di dialogo con se stessi. L’appiattimento sul presente e la società smaterializzata ci fanno dimenticare che il viaggio più lungo e difficile è quello che possiamo fare dentro noi stessi. In questo triste quanto algido panorama sociale l’iniziativa del sindaco di Napoli è encomiabile ma mi chiedo: riuscirà davvero nell’intento?