In un precedente articolo, nel quale ho trattato delle direttive Mifid, ho fatto cenno alle paure dei risparmiatori a investire in strumenti finanziari, derivanti dai recenti scandali che hanno investito il sistema bancario e dai conseguenti timori di correre il rischio di vedere azzerati i loro risparmi che li porta a tenere sotto la mattonella i propri quattrini.
Ebbene, in una recente indagine svolta da una autorevole Associazione di consumatori, è emerso un dato sconcertante, vale a dire l’altissimo numero di pagamenti di beni e servizi che in Italia viene fatto in contanti dall’83 % per cento di chi acquista, contro una media europea del 65 %, e che contrasta con il 2 % (dico due per cento) della Svezia
Il collegamento tra i due argomenti non è peregrino in quanto è il chiaro sintomo di due fenomeni collegati.
Il primo è che ancora nel nostro paese, nonostante la affermata modernità dello stesso da parte di tante “intelligenze” nazionali, qualcosa non va, o non è andata finora, per il verso giusto, volendo significare che ci sono ancora diffidenze verso il sistema bancario, talché è ancora largamente dominante l’abitudine di usare danaro contante sia per pagare il giornale o il caffè, sia per acquistare beni costosi come una borsa o un capo di abbigliamento firmati, con tutte le categorie intermedie di beni e servizi.
Il secondo è dato dalla considerazione che, se ancora tantissimi consumatori usano il danaro contante, sta a significare che non sono entrati nella mentalità che meno danaro circola e meglio è per tutti, consumatori e venditori, giacché maggiore è la quantità di danaro in giro, maggiori sono i rischi che questo comporta, e non solo con riferimento a furti, truffe e rapine.
E’ probabile che questo mio discorso sia falsato dalla mia decennale abitudine di portare in tasca solo pochi spiccioli, in quanto tradizionalmente diffidente verso i biglietti di banca, che non ho mai amato tenere nel portafogli, tant’è che da decenni utilizzo solo carte di debito e di credito, e prima ancora, allorquando viaggiavo, solo i famosi e vecchissimi “Traveler’s cheque” oramai in disuso.
Ma mi vanto di aver girato tantissimo in Italia e in Europa senza preoccuparmi assolutamente di approvvigionarmi di contanti prima della partenza, tra l’incredulità di parenti e amici, tra i quali una professoressa, persona anche colta e moderna, la quale, al contrario, si vantava di non avere nemmeno un conto in banca o alle poste, e che il suo stipendio lei lo ritirava in contanti e lo teneva, appunto, sotto la mattonella!
La citata statistica mi induce a ricredermi sulla mia convinzione che coloro che agiscono così siano mosche bianche, ma, al contrario, che siano ancora larga parte della popolazione.
E mi pongo un quesito: ma non è stato recentemente introdotto l’obbligo per tutti, commercianti e professionisti, di avere il POS (acronimo di Piano Operativo di Sicurezza) da utilizzare appunto per i pagamenti senza moneta? E quanti commercianti e professionisti hanno rispettato quest’ obbligo? Ma in tanti non l’anno fatto: perché? Cosa non ha funzionato? Cosa rischiano gli inadempienti?
Intanto, le Banche sono, come al solito, molto esose sui pagamenti elettronici, il che scoraggia coloro che dovrebbero installare il POS i quali, pure se inadempienti, rischiano nulla in quanto chi ha fatto la legge si è scordato di indicare le sanzioni!
Così “fatta la legge, si è trovato l’inganno”, si fa per dire, inganno voluto: il legislatore si è lavato la coscienza, il commerciante non ha il POS perché è costoso e, in tanti casi, può essere di ostacolo a operazioni poco chiare, il consumatore, pure volendo, è costretto a pagare con la moneta.
Ed è per questo che siamo all’ultimo posto, in Europa, nell’utilizzo della moneta elettronica per i pagamenti.