Non serve “The Dubliners” per rendersi conto di quanto poco, a volte, apprezziamo i posti in cui siamo nati e cresciuti. Ci succede spesso anche con i luoghi che adottiamo o che ci adottano per il tempo che basta a darci l’illusione di casa. Ci pensavo qualche giorno fa. Passeggiavo ammiezz i Portici e mi rendevo conto di una fortuna un poco paradossale: stando e vivendo fuori, nel mio caso Roma, vedi cose che a volte, nel borgo natio, nun c’a fai, non arrivi a vedere perché sei distratto dall’abitudine, dal vedere sempre e solo in base a quello che hai sempre visto e percepito.
Cava, wagliu, in questa fase storica, come altre volte nel passato recente e remoto, sta vivendo, a suo modo e latitudine, un discreto boom. Basta vedere il fermento di movida che c’è in giro, fatto nei fine settimana soprattutto da “non cavajuoli”. La cosa divertente è che non si tratta, per la maggior parte di un qualcosa di previsto o stabilito o deciso dalla governance della città. Ma, invece, è un fenomeno spontaneo, alimentato da cosmos per dirla con il cuore del pensiero liberale, favorito, sient a mme, da due fattori: l’estetica indiscutibile, perché possiamo dire tutto fuorché Cava non sia semplicemente bella e gradevole da passeggiare. Una fortuna, wagliu’ ricimmancell, che è bene sempre ricordare perché non è da tutti vivere in un posto che ti sembra quando ci passeggi, un salotto. E chi sta fuori se ne rende sempre conto quando ci ritorna.
Secondo fattore, i commerciant, mi spiego meglio: ci sta nella città uno spirito commerciale anzi mercante molto antico che risale proprio alle origini della città, dei portici nati non semplicemente perchè l’arc so bell ma per tenere al riparo dalle intemperie, nel rinascimento, i banchi dei mercanti.
Come dire c’è “L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo cavese” che, corsi e ricorsi, torna ad animare la Valle. Insomma sembra un Bel Momento e quindi penso che non bisogna sprecarlo. Con questo intendo lanciare un messaggio, anzitutto a me, e verso tutti quelli che a Cava o fuori – sia che si sentano cavajuoli esiliati o nostalgici – hanno l’effort istituzionale, economico, intellettuale di cercare quanto più possibile di leggere questo attimo, di sfruttarlo per non lasciarlo andare via senza effetti ma provando a renderlo, per quanto possibile, un momento di opportunità condivisa per tutta la Città.
Mi spiego meglio: potrebbe esser questo il momento di rilanciare nuove attività (l’incubatore “BioLogic” al MARTE a cui facciamo gli auguri potrebbe esser una buona opportunità) o di promuovere iniziative culturali che valorizzano il grande patrimonio storico della città.
A cris a cris ci sta e c’è quasi sempre stata. Cambia, come sempre, solo la nostra reazione alla crisi. I soldi non ci stanno e lo sappiamo. Ma non ci stanno, mai, da nessuna parte. Quello che dico è che si possono far arrivare, con opportunità esistenti anche all’esterno.
Certo, magari in primis le Istituzioni su questo hanno un ruolo fondamentale. Ma da sole non bastano. Sarebbe bello, ad esempio, provare a lanciare una raccolta di idee sul modo in cui ciascuno si immagina la propria città. Non sto parlando di “voglio i muri verdi”, o “l’abbonamento alla cavese gratis per chi abita nelle zone periferiche”. Parlo di raccogliere idee concrete su come migliorare seguendo, sciuè sciuè, tre punti molto semplici: 1) cosa realizzare 2) come farlo 3) con quali risorse e dove prenderle. E sull’ultimo punto una precisazione: non è detto che tutti i progetti richiedano, sempre, soldi. Organizzarsi, in un parco o in un condominio, per sistemare u ppoc i verd sotto casa richiede solo tiemp e genio di farlo.
Un’idea semplice e reale per tutti quelli che come me, anche se all’apparenza sembra che non ci pensano, ma in fondo in fondo, alla fine, amano la città in cui sono cresciuti e pensano, caress u ciel, che Cava de’ Tirreni o Cava de’ Tormenti (a seconda del punto di vista), è e rimane, sempre, la città più bella del Mondo.