Le bugie ed i cavilli sono il sale delle campagne elettorali. Le promesse ne sono il pepe; servono per eccitare le scelte degli elettori ed, al di là della loro fattibilità, contribuiscono a dare “sapore” ai confronti depurati da reminiscenze ideologiche. Perciò, prevalgono i temi d’impatto immediato (pensioni, tasse, sussidi ed immigrazione) rispetto alla determinazione degli spazi politici indipendenti dai poteri finanziari ed alle controverse questioni sociali, umanitarie e di identità culturali determinate dalla globalizzazione dell’economia e della comunicazione dei costumi e del sapere.
Nel dibattito pubblico sembra che la nuova filosofia della politica giri intorno alle “fake news”, le false notizie, quelle che una volta venivano chiamate bugie bonariamente rappresentate con il lungo naso di Pinocchio.
Ora, pare che dalla rilevanza che viene data alla loro divulgazione sui social dipenderebbe la vittoria o la sconfitta di un partito o di un candidato. Come se nella grande rete di Internet si nascondesse ed agisse la manina di un misterioso “grande vecchio”, periodicamente evocato ogni qualvolta che non si riescano a dare risposte plausibili alle pulsioni che hanno orientato gli elettori su posizioni non previste o ritenute politicamente non corrette.
Se ne è parlato a proposito della vittoria di Donald Trump su Hillary Clinton, della Brexit e delle affermazioni dei movimenti contestatori dei poteri dominanti e se ne parla come un rischio incombente sugli esiti della competizione elettorale in corso.
Quasi che gli elettori fossero degli analfabeti incapaci di discernere il vero dal falso contrariamente alle consapevoli risposte date a Demopolis sulle proposte finora esternate dai leader politici: il 25% degli intervistati le ritiene concrete, il 41% interessanti ma difficilmente realizzabili ed 34% solo promesse elettorali. Non è il caso di ricorrere al detto napoletano “qua nessuno è fesso” ma non c’è dubbio che esiste un problema di credibilità della politica che è qualcosa di più delle “bufale” circolanti sui media per calcolo o per ignavia o per insipienza dei suoi operatori.
Il ricorso alla “menzogna”, al “pettegolezzo” ed al “cavillo” è un’antica attitudine dei notabili della politica, spesso assecondata dalla compiacenza di specifici circuiti mediatici.
Francesco De Sanctis ne contestava la pratica già nel 1875 nella cronaca della sua campagna per l’elezione a Deputato nel collegio di Lacedonia. E’ una questione di cultura della verità e di deontologia professionale e non basta il pulsante rosso della polizia postale, da giorni inaugurato, per rimuovere le “bufale” dalla rete e dare dignità alla politica. “Riconoscere l’errore o il torto o la sconfitta, e non ostinarsi, non sottilizzare, non pettegoleggiare, questo è il segno della vera forza dei popoli e degli individui”.
Parola di Francesco De Sanctis, storico della letteratura e Presidente della prima Associazione della Stampa costituita in Italia. Anche allora, come ora, si discuteva dell’interferenza e dell’influenza di gruppi finanziari esteri sulla politica e sul sistema dei media italiani.