Si avvicina sempre più la data del 4 marzo, quando cioè saremo chiamati ai seggi per eleggere il nuovo parlamento. Ammesso che ci andremo a votare. Sì, perché mai come stavolta la partita la faranno chi non sa per cosa votare e si colloca tra gli astenuti, o meglio chi oggi è convinto di non andare a votare ma che, invece, all’ultimo momento deciderà di dire la sua, potendo così far pendere la bilancia da un lato o dall’altro.
In tanti, diciamoci la verità, sono fermamente convinti di fare tutt’altro il prossimo 4 marzo piuttosto che andare a votare.
I motivi? Molteplici.
La scarsissima qualità dei candidati. A cominciare dai leader o presunti tali. Troppo nuovi per essere veri, ma anche troppo vecchi per essere accettati. Troppo improvvisati per essere considerati, troppo conosciuti per essere sopportati.
E poi la sempre più diffusa convinzione che votare sia tra le cose più inutili ma anche ingannevoli se non addirittura alienante. In altre parole, con il voto il cittadino non decide alcunché. A decidere sono altri, neanche i nostri parlamentari. A tirare le fila è il mondo della finanza, delle banche, dell’economia. Del danaro, in breve, dell’euro in particolare. Quando proprio va bene, a decidere è l’Europa di Bruxelles, che condiziona e teleguida il nostro governo nazionale.
E non parliamo della pochezza della politica nostrana. Troppi sprechi, troppi privilegi, troppi riti, troppa lontananza dai quotidiani problemi dei cittadini da un lato. Dall’altro, la qualità scandente, a volte del tutto avariata, del nostro personale politico.
La difficoltà di scelta è poi palese. L’offerta politica appare monca, priva com’è di proposte politiche convincenti e vincenti.
E, in ultimo, una legge elettorale che incoraggia a disertare le urne, piuttosto che invogliare a correre ai seggi per esprimere un voto. Un sistema elettorale volutamente pasticciato per non far scegliere il cittadino, bensì per turlupinarlo sottraendogli di fatto la scelta di eleggere i propri rappresentanti.
Certo, non mancano le motivazioni per andare a votare a prescindere da quello che ci proporranno, fino al nostro sfinimento, i candidati alle prossime elezioni politiche.
Tra queste l’esigenza di dire la propria, nella convinzione che gli altri in ogni caso decideranno anche per te. E poi con quale coscienza continuare a parlare male della politica e del governo, nel momento in cui ci priviamo del diritto di votare, sebbene sia quest’ultimo azzoppato e limitato?
Insomma, andare a votare in ogni caso, anche se più che sostenere con convinzione questo o quel candidato, questa o quella forza politica, ci si accontenta di votare il meno peggio, quello che ci fa meno schifo e ci fa sentire meno male.
In altre parole, davvero un rebus di non facile soluzione. E stavolta le ragioni dell’una e dell’altra posizione sembrano essere pressoché alla pari.
Forse, una ragione per andare a votare l’ha suggerita il presidente della Repubblica Mattarella quando, in un passaggio del suo discorso di fine anno, ha ricordato come i ragazzi del ’99, nati cioè nel 1999, saranno chiamati al voto per la prima volta, mentre un secolo fa, i ragazzi del ’99, nati cioè nel 1899, vennero chiamati poco più che adolescenti a combattere nella sanguinosa prima guerra mondiale. Sì, perché la generazione dei giovani del 1899 fu mandata a morire a Caporetto e sul Piave. Salvarono la patria, ma, come è stato scritto, persero la gioventù. I giovani di cent’anni fa, in conclusione, divennero adulti nelle trincee della Grande Guerra.
Forse, pensando al loro sacrificio, e a quello di tanti che hanno combattuto per la Patria, l’indipendenza, la democrazia e la libertà nel corso della nostra storia risorgimentale e di questi ultimi centocinquant’anni, una ragione per andare a votare, quantomeno il meno peggio, c’è eccome.
In fondo, come ha ricordato Ferruccio de Bortoli, la democrazia si alimenta di memoria. La memoria del sacrificio dei ragazzi del ’99. E non solo della loro.
Caro Pasquale , innanzitutto grazie per lo sprone a votare contenuto nel tuo articolo. E’ giustissimo dire che l’astensione toglie a chi l’avrà praticata il diritto di critica e di lamentele. Poi vorrei spendere una parola sui caduti della Guerra 1915/ ’18. Il nostro Presidente Mattarella ne ha fatto un accenno per tirare un parallelo con i 18enni di oggi . Nessuno prima ne aveva consapevolezza piena e chi non ha ascoltato il discorso del Presidente resta nella sua CRASSA ignoranza. Di contro però c’è da dire che nessuno ha invitato i docenti di storia di tutte le scuole, in occasione di questo centenario, ad approfondire l’argomento. Se poi aggiungi a questo che la nostra Amministrazione ha tolto dal monumenti ai Caduti il pennone per l’alzabandiera…….