scritto da Mariano Avagliano - 30 Dicembre 2017 10:36

“Picasso: tra Cubismo e Classicismo 1915-1925”, la mostra romana in corso alle Scuderie del Quirinale

Così come non ci si può non sorprendere, ogni giorno, dei colori di un tramonto o del bel viso, dolce, di lei che ti sta accanto e ti dice “buongiorno, amore, dai alziamoci”, allo stesso modo non ci si può, nemmeno oggi, arrendere, assopire, rimanere indifferenti di fronte a Picasso. È il messaggio che lascia la mostra “Picasso: tra Cubismo e Classicismo 1915-1925” che è alle Scuderie del Quirinale fino a gennaio.

Curata da Oliver Berggruen (con prestiti dal Musée Picasso, dal Centre Pompidou di Parigi, dalla Tate di Londra, dal MoMa, dal Metropolitan Museum di New York, dal Museum Berggruen di Berlino, dalla Fundació Museu Picasso di Barcellona, dal Guggenheim di New York)l’esposizione ripercorre, in un itinerario essenziale quanto efficace, alcuni dei tratti più emblematici della vita artistica del grande spagnolo, tra i primi, veri artisti cittadini del mondo, nel senso che ha respirato l’aria dei tempi che ha vissuto a diverse latitudini: dal cuore del mediterraneo di Antibes e Roma, alla ville Lumière, dalla Guerra civile spagnola al fermento culturale del secondo dopoguerra.

Oggi può sembrare addirittura banale ma è bene dirselo: nessuno come lui, prima di lui, e forse addirittura dopo, ha rivoluzionato l’arte figurativa alla sua maniera. Ha impresso uno stile, una forza, una corsa e una tensione difficilmente riscontrabili, o meglio che non sorprendono allo stesso modo, in tutto ciò che è venuto dopo. Il messaggio, bello forte, arriva dritto dritto quando meno te lo aspetti, sin dai primi passi alle Scuderie.

È reso ben evidente dall’accostamento dei diversi stili in cui Picasso si è cimentato o anzi si è esercitato quasi con essi giocando: dagli spunti più narrativi o meglio “classicheggianti” con forme ben delineate e disegnate dei ritratti, quasi di impressionismo ossessivo, alla cara Olga come Portrait d’Olga (Ritratto di Olga), al puro cubismo di  Arlequin et femme au collier (Arlecchino e donna con collana) in cui la narrativa si sintetizza all’estremo, quasi si dissolve in forme geometriche taglienti e in colori forti e decisi, quasi senza alcuna sfumatura. È una forma di protesta pungente, forte, incisiva nei confronti di schematismi e luoghi comuni dell’arte, o meglio, del modo di descrivere, narrare e rappresentare il Mondo, in violento cambiamento, all’inizio del Novecento. E lui, Picasso, lo fa senza usare mezzi termini, smontando e rimontando pezzi di storia e di società.

La stessa protesta forte e rapida che ritroviamo, per dirne una, nell’ispirazione del periodo di vita a Roma dell’artista rappresentata da L’Italienne (L’Italiana).

La mostra alle Scuderie focalizza poi su una collaborazione particolare dell’artista: quella con il teatro e il balletto. Sono infatti esposti, nell’itinerario presentato, diversi ritratti, bozze, progetti, anche costumi, disegnati da Picasso in occasione della messa in scena di opere teatrali e balletti (Pulcinella). E qui sta uno dei dettagli interessanti dell’esposizione: abituati come siamo ad interpretare i grandi artisti attraverso le opere più main stream (più di tutte la Gioconda di Leonardo per intenderci), la mostra, attraverso questo particolare focus, ci consente, invece e quasi spontaneamente, di avvicinarci all’artista da un’angolatura quasi personale e immediata. Ammirare i suoi lavori per il teatro è come avere un’anticipazione o una conferma di tutto ciò che ha creato nella sua arte: alcune forme e sceneggiature propongono il culto per le forme taglienti tipico del cubismo proponendo nella nostra mente un immaginario accostamento con gli scenari dissolti e confusi di di Guernica.

Ciò che sorprende, e difficilmente poteva essere diversamente, è la trasformazione delle bagnanti, ritratte dapprima in modo, studiato e silente, narrativo e classicheggiante. Poi d’un tratto, siamo a Deux Femmes courant sur la plage (Due donne corrono sulla spiaggia) rappresentate, di corsa e d’impeto, sensuali in forme e colori, su di una spiaggia che immaginiamo affatto silente ma caotica anche se deserta, di sfondo.

Dopo un po’ il percorso finisce. Si rifanno le stesse scale tonde da dove si entra. Poi si è in strada. Quasi stanchi, come se veramente avessimo fatto un viaggio. Quello nella vita complessa e articolata di uno degli artisti più protagonisti del suo secolo e di quello successivo, nelle influenze e nelle citazioni. In strada si prende una boccata d’aria, si fa qualche passo per ritornare alla macchina. Una cosa, all’improvviso emerge e resta: la grandezza dell’artista sta tutta nella semplicità con cui il Mondo viene interpretato, criticato, celebrato.

D’altronde lo stesso Pablo diceva: “A quattro anni dipingevo come Raffaello poi ci ho messo tutta una vita per dipingere come un bambino”.

Ha iniziato a scrivere poesie da adolescente, come per gioco con cui leggere, attraverso lenti differenti, il mondo che scorre. Ha studiato Scienze Politiche all’Università LUISS di Roma e dopo diverse esperienze professionali in Italie e all’estero (Stati Uniti, Marocco, Armenia), vive a Roma e lavora per ItaliaCamp, realtà impegnata nella promozione delle migliori esperienze di innovazione esistenti nel Paese, di cui è tra i fondatori. Appassionato di filosofia, autore di articoli e post, ha pubblicato le raccolte di poesie “Brivido Pensoso” (Edizioni Ripostes, 2003), “Esperienze di Vuoto” (AKEA Edizioni, 2017).

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