Ci sono momenti, frammenti, episodi e parentesi in cui avvertiamo, lieve o intesa, una sensazione “di vuoto”. Ci sentiamo come svuotati di fronte a situazioni che ci trovano, in un istante impreparati, o comunque non del tutto pronti ad affrontarle. E questo accade abbastanza democraticamente a tutte le latitudini mentali e spaziali. Tuttavia, contrariamente a quello che possiamo pensare, il vuoto non è un concetto coincidente con il Nulla, con l’assenza di contatto, relazione, esistenza.
Quello che chiamiamo vuoto si configura invece come un insieme, confuso, a tratti informe, di elementi e strutture che, in uno specifico momento, non siamo capaci di definire e decifrare. È quell’insieme di situazioni sedimentate, emozioni, sentimenti, scelte di vita e di professione che ci portiamo dentro da tempo e che, per diversi motivi tra cui, forse, la seducente pigrizia che deriva dall’indifferenza, rimandiamo.
Il vuoto, così, non è un vuoto ma un vuoto-pieno nel senso che è uno spazio, una dimensione, talmente piena da sembrare per noi vuota. Il vuoto non è niente altro se non quella sensazione, di incapacità e indecisione che si prova, in un istante, quando siamo di fronte a strade che non sappiamo percorrere. Ma è solo una sensazione e, soprattutto, dura solo un momento o poco più.
Accade la stessa cosa quando dobbiamo partire per un viaggio mediamente lungo: tiriamo fuori tutto per fare la valigia. Tutto alla rinfusa e non sappiamo da dove iniziare. Ecco il vuoto è questo. Poi succede una cosa semplice quanto sorprendente: nel momento in cui ti rendi conto che piuttosto che fuggire, evadere, evitare e annullare il vuoto, ci entri dentro, ti confronti con lui e, tranquillamente, ti siedi, respiri e lo ascolti, ecco in questo momento il vuoto diventa pieno. Tutto quello che in un istante prima poteva spaventare e annientare, l’istante dopo, quando ascolti, diventa un’opportunità e una ricchezza.
È quello che ci succede giorno per giorno, in cui, perennemente distratti e anzi assordati da suggestioni a tratti poco rilevanti, ci nascondiamo, corriamo, come se volessimo zittire noi stessi. Senza sapere che prima o poi arriva il conto e più passa il tempo e più l’oste diventa esoso. Ho voluto raccontare questo nel mio libro “Esperienze di Vuoto”, mio secondo lavoro di raccolta di poesie che ho presentato prima a Roma l’8 novembre e poi a Cava al Social Tennis Club venerdì 24 novembre.
Nelle mie poesie ho compiuto, o meglio ci ho provato, un percorso di ricerca e riflessione interiore sui tanti vuoti che se all’inizio ci fanno paura, poi, alla fine, ci fanno sempre crescere. Lo stesso lavoro del libro è una vera e propria esperienza di vuoto pieno: avevo tanti frammenti e tanti scritti, sparsi, ovunque. All’inizio non sapevo, o meglio credevo di non sapere, quali fossero i migliori da scegliere, quelli che avrebbero reso meglio il sapore del “vuoto – pieno”. E poi, d’un tratto, il tutto è stato più chiaro. Ho semplicemente accettato quel momento di vuoto, l’ho fatto accomodare in casa mia, nella sala più acchittata e gli ho offerto caffè e sigaretta. L’ho fatto parlare e l’ho ascoltato e il cervello ha fatto click. Ho detto “azz, sto vuoto sono io”.
Dopo poco ho aperto la porta. Sono andato a fare una passeggiata. Per strada ho respirato aria nuova, pulita, quasi fredda ma piacevole. In aria c’era il sole come a volte solo il cielo di Roma sa essere. Assoluto e celeste. Non mi sono accorto che avevo lasciato la porta socchiusa. Un soffio di vento l’ha aperta. E’ entrato il Sole e ha riscaldato, abbracciato e illuminato tutto. Quella che prima sembrava una stanza vuota è risultata poi essere una stanza strapiena di cose.
La differenza, insomma, non la fa il “vuoto” perché tutti quanti prima o poi ne risentiamo l’avanzare, o meglio, lo sentiamo bussare, tuzzuliare.
La fa, spiccia spiccia, la reazione e la capacità di ciascuno di conviverci, di riconoscerlo, accoglierlo e nel concreto dire “questo vuoto parla come me, questo vuoto sono io”. Ecco, insomma, il pieno che c’è dentro esperienze di vuoto.