Catalogna indipendente e la fuga di Puigdemont
Ora che sembra tutto finito, a meno di altri imprevedibili colpi di scena, la vicenda catalana sembra di una banalità eccezionale.
Più che una vicenda storico-politica, sembra una commedia teatrale in due o tre tempi, conclusasi bene, almeno per la Spagna, male per il Presidente catalano Carles Puigdemont, i suoi ministri, il suo governo e il suo futuro. D’altronde, più che la defenestrazione e l’incriminazione per accertate infrazioni alle legge, alla Costituzione ed alla unità nazionale, e la conseguente sua fuga in Belgio, non si vede cosa gli possa accadere di peggio, visto che il governo di Madrid non ne ha nemmeno chiesto finora, la estradizione, probabilmente contento di essersi così liberato, senza colpo ferire, di un personaggio scomodo, controverso, arruffone, che ha creato questo po-po di caos, risoltosi con un nulla di fatto.
E si che la situazione era pericolosa, potendo degenerare in un colpo di stato con risvolti anche violenti, fortunatamente scongiurati.
Con l’applicazione dell’art. 155 della costituzione spagnola da parte del governo di Rajoy, la decadenza e l’estromissione di tutto il suo governo, e la Catalogna commissariata è passata sotto il diretto controllo di Madrid che viene esercitato tramite la Vice Premier Soraya Saenz de Santamaria.
E mentre la borsa vola, chiaro segnale che anche i mercati sono convinti che la situazione stia tornando alla normalità, le autorità centrali madrilene hanno avviato un procedimento giudiziario contro l’oramai ex Presidente catalano ed i suoi ex ministri, proprio per accertare le loro responsabilità in questa vicenda che ha tenuto col fiato sospeso l’intera Europa.
Oramai tutti conoscono le varie fasi della vicenda, avendole seguite quotidianamente sui “media”, per cui non riteniamo opportuno dare ulteriori informazioni sulle stesse.
Riteniamo più utile, invece, fornire una informativa sulle spinte indipendentiste che contraddistinguono varie regioni spagnole (la Catalogna è solo una di quelle che aspirano alla indipendenza da Madrid) e sul peso della Catalogna nella società spagnola, peso che non sembra sia stato bene evidenziato nelle varie cronache che quotidianamente abbiamo seguito.
In Spagna, diversamente dall’Italia, il concetto di comunità autonoma è molto sentito in quanto nel paese convivono popoli e culture diverse, e la unificazione è stato un processo lento ostacolato da opposte tendenze; la esplosione dei nazionalismi già all’inizio del secolo scorso portò all’avvento di forze nazionaliste in Catalogna e nei Paesi Baschi, che sono le Regioni che più si battono per una maggiore autonomia e per la secessione.
Le spinte secessive vennero smorsate durante il periodo franchista, cessato il quale, al momento della ricostituzione di un paese democratico, vennero create 17 comunità autonome: Andalusia, Aragona, Asturie, Isole Baleari, Canarie, Cantabria, Castiglia-La Mancia, Castiglia e León, Catalogna, Comunità Valenciana, Estremadura, Galizia, La Rioja, Comunità di Madrid, Regione di Murcia, Navarra e Paesi Baschi, e due città autonome: Ceuta e Melilla. Ogni regione ha suoi usi e tradizioni, il suo dialetto, e in ciò non ci si discosta molto dall’ordinamento regionale italiano, rispetto al quale però le Regioni spagnole godono di maggiori prerogative e autonomie.
Un esempio è dato dalla Polizia regionale catalana, la famosa “Mossos d’Esquadra”, che in Italia non esiste, la quale svolge compiti di polizia locale in affiancamento alla “Guardia Civil”, che è la Polizia nazionale.
Le regioni con più incisiva autonomia sono La Castiglia e i Paesi Baschi, le quali sono anche quelle che maggiormente spingono per una autonomia sempre maggiore e per la secessione.
E’ appena il caso di accennare al Separatismo Basco e all’ETA, ex organizzazione armata terroristica basco-nazionalista-separatista d’ispirazione marxista-leninista, oggi disarmata, il cui scopo era di ottenere l’indipendenza del popolo basco ad ogni costo, compresa la lotta armata, e che tanti morti ha fatto nel periodo più cruento della lotta terroristica clandestina.
Torniamo ora alla Catalogna per evidenziarne l’importanza economica.
La Catalogna ha una popolazione di circa 7,5 milioni di persone, corrispondente a circa 1/6° della popolazione spagnola; influisce sul PIL nazionale con 223,6/mld di euro (oltre 1/5° del PIL nazionale); il turismo catalano incamera 17,6 mld (oltre il 22% di quello nazionale); ospita circa 5600 aziende straniere (il 38,6% di quelle nazionali), ed ha un Export di 65,1/mld (pari al 25,8% di quello nazionale).
E’ pertanto notevole il peso della regione catalana sull’intera economia spagnola, e ciò è indubbiamente dovuto alla sua collocazione geografica che la privilegia per i collegamenti con il resto dell’Europa, nonché dalla sua appartenenza ad uno stato che negli ultimi anni è stato uno dei più dinamici nell’attuare riforme strutturali che lo hanno reso meno vulnerabile sullo scenario dell’UE.
E da questo punto di vista non è da sottovalutare il vantaggio di tale appartenenza, considerato che la Spagna è una degli stati meridionali dell’ UE con la maggiore stabilità, cosa che i mercati apprezzano, tant’è che nell’ultimo mese, alimentandosi le pulsioni separatiste, tantissime aziende, prevedendo il peggio, hanno trasferito le loro sedi in altre regioni spagnole, e gli istituti bancari e finanziari non sono stati da meno.
C’è solo da augurarsi, a questo punto, che i protagonisti di questa vicenda rinuncino, da un lato ad ogni ulteriore iniziativa di separatismo, dall’altro ad un inasprimento delle azioni contro i separatisti oramai sconfitti: questi ultimi debbono riflettere sulla considerazione che in un mondo che si avvia verso la globalizzazione, il cosiddetto “villaggio globale” come taluni economisti e sociologi amano denominarlo, e con una UE il cui futuro non esisterà se non si giunge alla creazione di una federazione uguale a quella degli Stati Uniti d’America, ipotizzare la separazione di piccoli pezzi di Europa è del tutto anacronistica e danneggia il percorso già lento di una più solida e incisiva Comunità Europea.