Tutti ricordano la sentenza del luglio scorso, con la quale i Giudici del Tribunale di Genova condannarono l’ex leader della Lega, Umberto Bossi, e il tesoriere del partito, Francesco Belsito, per aver sperperato 49 milioni di euro di rimborso delle spese elettorali (fondi pubblici) per spese personali, e ne chiesero il rimborso sequestrando i conti della Lega.
La sentenza di condanna, pubblicata pochi giorni fa, è chiarissima nell’attribuzione le responsabilità sia a Umberto Bossi sia a Francesco Belsito per aver gestito quei fondi per loro utilità personali, una sorta di bancomat per le “spesucce!” della famiglia Bossi.
Umberto Bossi e Francesco Belsito “erano consapevoli delle irregolarità dei rendiconti da loro sottoscritti”, hanno scritto i Giudici che a luglio condannarono Bossi a due anni e due mesi e Belsito a quattro anni e dieci mesi di reclusione.
E proseguono: “ La gestione contabile della Lega Nord, ai tempi di Umberto Bossi e Francesco Belsito, era “incredibile” e “caotica”. Ci sono modifiche nei registri, si immettevano dati relativi ad anni precedenti anche se il rendiconto era già stato approvato e l’esercizio già chiuso. La gestione diventa ancora più caotica quando i consulenti tecnici della procura iniziano le verifiche tanto che Nadia Dagrada, dirigente dell’ufficio amministrativo, era impegnata in un tour de force per integrare freneticamente il database contabile per cercare di buttare dentro scritture contabili per chiudere velocemente il rendiconto”.
E aggiungono: “Consapevole era Belsito autore materiale delle appropriazioni, ma anche Bossi considerato che la irregolare gestione contabile si protraeva da anni”.
E ancora: il Senatur, “i suoi familiari e persone del suo entourage erano i beneficiari delle spese, anche ingenti, a fini privati, e i rimborsi mensili forfettari e in nero, anche per attività inesistenti e comunque non documentate erano erogati anche a favore dei suoi stretti congiunti e collaboratori; tali prassi era in atto fin dai tempi del tesoriere Balocchi; che per ragioni di carica aveva certamente contatti continui con Belsito che non vi era nessuna logica ragione di effettuare spese ed erogazioni a favore di Umberto Bossi e dei suoi familiari a sua insaputa”.
E le prove, delle irregolarità ma soprattutto dell’uso privato dei rimborsi, “sono anche nelle telefonate fra la segretaria e Belsito, nella lettera di Riccardo Bossi che chiede al tesoriere di saldare alcuni suoi debiti e che premette di avere l’autorizzazione del padre”.
Secondo i giudici, non appare verosimile la difesa del Senatur quando sostiene che lui si occupava solo della gestione politica del partito. “La consapevolezza delle irregolarità della gestione rendeva inopportuno per Bossi mostrarsi in qualche modo coinvolto nella gestione economica del partito”.
Ma non era Umberto Bossi che tuonava contro i vari partiti con la celebre “Roma ladrona”?
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Probabilmente per Bossi Roma era ladrona solo perché egli non faceva parte della cerchia dei beneficiari delle pubbliche elargizioni; ma , una volta eletto, non fece grande fatica ad adeguarsi immediatamente al sistema, tanto “paga Pantalone”!