Fa bene, talvolta, distaccarsi dai non sempre bei momenti della quotidianità per immergersi in momenti e circostanze tristi costruiti su un set cinematografico, che riproducono quegli stessi momenti di non felicità che tutti viviamo, ma danno un senso compiuto alla esistenza per il fatto che, alla fine, c’è un epilogo che conclude quella storia costruita ad arte, nel mentre i nostri momenti della vita reale non hanno un epilogo, o almeno noi che li viviamo, non lo vediamo.
Il nostro epilogo verrà alla fine della esistenza, magari possiamo auspicarlo, ma certamente non possiamo essere sicuri che sarà quello immaginato o auspicato, giacché è condizionato da eventi sconosciuti e imponderabili, magari traumatici, che potranno portare a una diversa conclusione.
Il bel film di Gianno Amelio, da pochi giorni nelle sale cinematografiche italiane, proietta lo spettatore in un mondo e in situazioni in gran parte consuete ma che, per il semplice fatto di vederle su uno schermo e riviverle in un lasso di tempo definito, ce le rendono ben visibili e vivibili e introspettivamente le proiettano nella nostra vita.
Il vecchio Lorenzo (Renato Carpentieri) è stato un avvocato celebre e chiacchierato in quanto non sempre eticamente irreprensibile, avendo per anni esercitato la professione forense nel campo delle truffe automobilistiche che, se da un lato lo ha portato a costruirsi una posizione economica che gli consente di vivere una vecchiaia senza preoccupazioni, dall’altro gli ha alienato stima e simpatie.
Lorenzo ha un carattere impossibile, probabilmente conseguenza anche della professione esercitata, che lo ha portato a rompere con la famiglia, prima con la moglie che ha trascurato anche a causa di una relazione extraconiugale, che ne ha segnato la fine dell’esistenza e ha aggravato il disagio anche nei confronti dei due figli ai quali non tace la sua mancanza di amore, e sui quali fa pesare tutto il suo carattere: un orso che non ha amore per nessuno, nemmeno per i suoi due figli, e che non fa nulla per nasconderlo, anzi non tralascia occasione per ripeterlo così da farsi e da fare ancora più male.
Ma, nel mentre il figlio Saverio (Arturo Muselli) lo ricambia con uguale moneta, la figlia Elena (Giovanna Mezzogiorno) non si rassegna ad accettare la solitudine e la scontrosità del padre, e fa ogni tentativo per stabilire con lui un rapporto; cosa che sembra impossibile.
La improvvisa presenza, nell’appartamento accanto a quello di Lorenzo, di una famiglia del nord (padre, madre, e due figli) determina un fatto inaspettato; Michela (Micaela Ramazotti) è una ragazza piena di vita e, attraverso un terrazzo comune, invade la casa di Lorenzo; involontariamente e inaspettatamente si stabilisce tra Lorenzo e la giovane famiglia, trasferita a Napoli da Trieste per il lavoro di ingegnere navale di Fabio (Elio Germano, il Leopardi del recente film di Mario Martone), un rapporto di grande simpatia; Lorenzo sembra aver trovato nella vicina famiglia un rapporto umano mai precedentemente avuto con altri, nemmeno con la defunta moglie e con i figli.
Ma Fabio è un instabile psicopatico e, in un momento di depressione, spara a moglie e figli e si suicida.
Michela non muore subito, e la fase delle cure ospedaliere alle quali è sottoposta viene seguita da Lorenzo con grande partecipazione; su quella ragazza che lotta per tentare di sopravvivere proietta tutto il suo affetto mai emerso in precedenza, e la lunga degenza ospedaliera di Michela lo induce a trattenersi nella sala d’attesa per giorni e giorni, spacciandosi addirittura per il padre.
La lunga assenza di Lorenzo da casa crea preoccupazione nella figlia Elena, che disperatamente cerca il padre, persino presso l’abitazione della sua ex compagna Rossana (Maria Nazionale) che, però, ha perso le tracce.
La sopraggiunta morte di Michela sembra determinare in Lorenzo la rinascita di un nuovo sentimento, mai avuto in precedenza, per i suoi figli di sangue, che, sbocciato verso la deceduta Michela, lo induce a cercare finalmente la figlia .
Trama semplice, quasi banale, come ha commentato qualche critico cinematografico, in una Napoli conosciuta e consueta dei vicoli, del traffico spericolato dei motorini, delle ampiezze degli spazi del centro direzionale presso il quale si conclude il film con la mano vecchia di Lorenzo che cerca la mano della figlia Elena.
Ma proprio in questa banalità, che può raffigurarsi come la banalità della vita quotidiana, viene fuori, tra le asperità dei caratteri, la ricerca di una tenerezza mai conosciuta dai personaggi del film, e chi sa da quanti di noi.
In qualche altra occasione ho detto che i grandi registi cinematografici scrivono la storia della nostra società con le loro immagini: ricordo di aver recentemente citato, in proposito, anche Federico Fellini.
Forse Gianni Amelio ha aggiunto, con “La Tenerezza”, un tassello alla nostra storia.