Già molte parole si sono spese per l’avvenuto aumento della tassa per lo smaltimento dei rifiuti (Ta.Ri.), croce e delizia sia delle amministrazioni comunali sia dei tartassati cittadini.
Da un lato il Comune, costretto ad effettuare continui aumenti per i servizi dovuti ai cittadini: la Ta.Ri., per il 2017, costerà ai cittadini il 5% in più.
Dall’altro i cittadini costretti a sostenere costi sempre più alti per tasse, tributi, cure, utenze: in pratica per “tirare a campare” (nel senso buono della frase) ci vogliono sempre più soldi.
Siamo d’accordo con chi dice, e sono in molti, che la crisi, scoppiata nel 2012, è stata determinante, ma non è stata l’origine delle attuali difficoltà; ha aggravato la situazione, ma ha origini lontane, risalienti, per non andare troppo indietro nel tempo, alla introduzione dell’euro, avvenuta nel 2002, che, nell’euforia (?) del cambiamento, lasciò che gli Stati membri andassero a ruota libera e ciascuno di essi ha fatto quel che ha voluto e potuto.
Ciò ha comportato come conseguenza che gli Stati organizzati, efficienti, seri e bene amministrati (vedi, ad esempio, la Germania), hanno avuto grandi benefici dal cambiamento; quelli meno seri, male amministrati, oppressi da interessi di lobby, consorterie, gruppi di potere e “ammennicoli” vari, hanno lasciato che le cose si sistemassero da sole.
E, purtroppo per tutti noi, le cose da sole si sono sistemate a vantaggio, nei primi anni, proprio di quelle consorterie, lobby e gruppi di potere, che hanno beneficiato del favorevole (per loro) cambio di moneta ben diversi da quello ufficiale: Lire 1,000 = Euro 1,00. Vale a dire ciò che prima costava 1.000 lire è costato, poi, 1 euro; ma, purtroppo, tale adeguamento non è avvenuto anche a livello reddituale, per cui chi aveva un reddito fisso di 1 milione di lire, l’ha visto convertito in (circa) 500.euro: e così è rimasto fregato.
Ovviamente, mentre la massa dei percettori di reddito fisso è stata pesantemente penalizzata, chi ha beneficiato della situazione sono stati, in parte, gli imprenditori, specialmente quelli che “avvedutamente” avevano aumentato le loro scorte, pagandole in lire e rivendendole, poi, in euro, raddoppiando così i loro guadagni.
Questo è avvenuto in Italia, e quando ne abbiamo preso conoscenza oramai era tardi: e la politica non è stato in grado né di prevedere, né di intervenire a protezione delle fasce più deboli della popolazione, appunto quelle percettrici di redditi fissi: e non è stata solo responsabilità dei politici, ma della politica in senso generale, giacché, se da un lato i nostri rappresentati in Parlamento hanno fatto finta di non accorgersene (probabilmente non è che abbiano fatto finta, visto la grande incompetenza che li contraddistingue), dall’altro pure gli organismi che tutelano (dovrebbero tutelare) i cittadini hanno nicchiato: cos’abbiano fatto, ad esempio, le organizzazioni sindacali in quel periodo non è dato di sapere, ma alla luce dei risultati vien da dire: proprio un bel niente, a parte che tutelare gli interessi e il futuro dei pochi personaggi di vertice.
E non è che la responsabilità sia stata dei soli sindacati, giacché nemmeno le Associazioni dei Consumatori si sono sprecate più di tanto.
E’ chiaro che tutto questo discorso non sta a significare che è stata la introduzione dell’euro a ridurci in questa condizione, come falsamente asseriscono, mentendo e sapendo di mentire, talune forze di opposizione: anzi meno male che c’è stato l’euro che ha arginato (o almeno ha tentato di farlo) la voragine dei nostri conti pubblici e quelle degli stati meno virtuosi, come, ad esempio, la Grecia, stando col fiato addosso a tutti quegli stati che, come il nostro, avevano fatto crescere il debito pubblico in maniera tanto smisurata, trasferendo, purtroppo, sui nostri successori (figli, nipoti e pronipoti) le conseguenze dell’allegra amministrazione delle pubbliche finanze.
Questo disastro si sarebbe evitato se a livello Europeo, o autonomamente da parte dei singoli Stati, fossero stati introdotti rigidi controlli per evitare, appunto, quello sciagurato cambio al quale accennavamo, imponendo che il rapporto lira/euro venisse rispettato anche nella transazioni commerciali per un minimo di tre anni, se non di più, e non di pochi mesi.
Cosa c’entra tutto questo discorso con l’aumento del 5 per cento della Ta.Ri. qui a Cava per l’anno 2017?
Un minimo di riflessione fa comprendere che la fonte dei nostri guai, economici, finanziari, politici e sociali, è da ricercare prima di tutto nel lassismo dei governi che si sono succeduti dagli anni ’80 in avanti, dal consociativismo con tanti poteri forti che ha determinato l’attuale del debito pubblico, dalla costituzione di una Unione Europea prevalentemente e prioritariamente monetaria, ma non politica, e dalla introduzione della nuova moneta senza controllo tra la stabilità anti e post euro.
Già negli anni recenti abbiamo pagato a caro prezzo tutto ciò, e purtroppo continueremo a pagarlo: e non sarà colpa di Servalli, o di Galdi, o dei Sindaci che li hanno preceduti se oggi la Ta.Ri., domani chi sa cos’altro, aumenteranno, giacché, segnatamente alla Ta.Ri., il Comune non potrà sottrarsi all’obbligo di coprire i costi gravando sui contribuenti: e se i costi aumenteranno, aumenterà anche la tassa.
Qui a Cava negli anni recenti il Comune ha effettuato un accurato censimento dei contribuenti i quali, con maglie sempre più strette, sono stati individuati nella misura stimata intorno al 90 per cento; sta a significare che su cento contribuenti, novanta di essi sono censiti e inseriti nei ruoli; tale percentuale è indice di un Comune virtuoso che si è preoccupato di censire il maggior numero di contribuenti possibile; comuni analoghi per dimensioni e caratteristiche non hanno mai raggiunto percentuale così alta, pure se tale constatazione non deve far dormire sugli allori giacché una carenza di censimento grava sui contribuenti censiti: nel senso che questi ultimi pagano anche per gli altri.
Il problema è che, nel mentre fino a qualche anno addietro i contribuenti che pagavano regolarmente (a ricezione del primo avviso) erano il 70 per cento, oggi, a causa della crisi, si sono ridotti al 60 per cento circa (probabilmente la stima è anche eccessiva) e il Comune si trova di fronte ad una voragine negli incassi effettuati rispetto a quelli previsti: e giacché è costretto a coprire comunque i costi, non può fare a meno di aumentare, nell’anno successivo, la tassa; questo è tutto.
E nel mentre gran parte dei contribuenti inadempienti lo sono per motivi finanziari (come non agevolare un poveretto che si trova a dover pagare una Ta.Ri. di 400/450 euro l’anno – tal è la media pro capite- e non avere nemmeno le disponibilità per la quotidiana sopravvivenza?), ci sono i contribuenti che in questo bailamme “ci marciano” e che fanno i salti mortali per non pagare; e se si pensa che in questa fascia prevalgono gli esercizi commerciali e gli imprenditori, (sui quali, rispetto al privato, le tasse sono più che decuplicate), si comprende bene quanto sia difficile, per il Comune, far quadrare i conti senza imporre aumenti.
A proposito, poi, delle azioni legali che il Comune deve effettuare per perseguire i morosi, il tanto decantato snellimento burocratico degli ultimi governi, è stato, appunto, solo decantato, nel senso che poco si è visto e ancor meno si è avuto: oggi i Comuni sono costretti ad eseguire, nel recupero, gli stessi adempimenti degli anni addietro.
A tutto questo deve aggiungersi, per correttezza informativa, che, nel mentre il settore della pubblica amministrazione è nell’occhio del ciclone per gli scandali che quotidianamente emergono (leggasi “i furbetti del cartellino” e via dicendo) e, pertanto, i dipendenti pubblici vengono visti non solo come nemici del cittadino ma anche come scansafatiche, per lo stesso vi sono due elementi istituzionali negativi che lo penalizzano: il primo è il mancato rinnovo del contratto con relativo blocco delle retribuzioni (e questo è il meno); il secondo è il blocco delle assunzioni, che ha la negativa conseguenza di non poter sostituire i dipendenti che vanno in pensione, e pertanto l’età pensionabile di quelli che restano in servizio aumenta, e proprio per questo il rendimento si riduce.
A tal proposito, comunque, non risulta che il Comune di Cava sia messo peggio degli altri: anzi qui a Cava, per alcuni servizi (e quello del tributi è tra questi), i dipendenti “si guadagnano la pagnotta”, per dirlo come ci è stato riferito.
E’ conseguenziale che un organico che si va sempre più riducendo, composto da personale sempre più anziano, non renda a pieno nell’azione di recupero delle tasse evase, anche perché, essendo “in trincea” (si interfaccia con una massa che sfiora i 70.mila utenti, tra le varie tasse e tributi comunali), è costretto ad arrancare nei confronti dei morosi evitando prescrizioni.
E ciò che opposizioni cittadine addebitano all’attuale amministrazione è una falsa rivolta intesa solo ad alimentare il populismo oppositivo per guadagnare qualche consenso ai danni dell’attuale amministrazione, giacché anche gli ex Sindaci sono a conoscenza della vera problematica, anche da essi vissuta e sofferta, pure se oggi tentano di addebitarla tutta all’attuale amministrazione.
A livello generale, se l’economia ristagna, il debito pubblico ci dissangua, la politica non assolve al suo ruolo, la burocrazia fa i salti mortali per complicarci la vita, gli Enti locali (prevalentemente i Comuni) sono sempre più penalizzati, i contribuenti sono sempre più poveri, e i furbi e le consorterie varie ci mettono il loro, come sarà possibile, in futuro, non subire ulteriori aumenti?
Questo è il drammatico interrogativo al quale qualcuno dovrebbe dare, in tempi brevi, una risposta.