L’estenuante e stucchevole tira e molla della scissione nel Pd, forse nei prossimi giorni si concluderà. Con la scissione immaginiamo, perché tutto porta a questa conclusione. Una scelta davvero assurda, in verità, come ha fatto notare più d’uno, visto che il Pd è il partito di maggioranza relativa, è il partito socialdemocratico più forte in Europa, esprime sia il governo con un suo premier che il presidente della Repubblica.
Per dirla tutta, un’assurdità che va oltre le ragioni politiche, che pure ci sono, in quanto le motivazioni più profonde sono di tipo personale e risiedono nell’avversione viscerale verso Renzi, per qualcuno un incubo con le sembianze berlusconiane.
E, in effetti, la giornata da psicodramma di ieri, in cui si è tenuta l’Assemblea del Pd, può essere politicamente sintetizzata e spiegata con due espressioni usate da Renzi.
La prima, quando l’ex premier, da ieri anche ex segretario del Pd, in attesa di essere rieletto vincendo il prossimo congresso del partito, ha affermato che la parola scissione in politico è un brutto vocabolo, ma che lo è ancora di più il termine ricatto. Sì, perché quello portato avanti da Emiliano, Rossi e Speranza, con il sostegno di D’Alema, Bersani, Epifani, Cuperlo e così via, non è un ragionamento politico che si sviluppa nella prospettiva di arrivare ad un punto di raccordo, ma un ricatto, fondato com’è sulla minaccia che o si fa in un modo, quello che pochi vogliono imporre ai più, o altrimenti si raccatta il pallone e si va a giocare altrove.
La seconda, quando Renzi, rivolto ai suoi avversari-scissionisti, ha asserito che non gli si può chiedere di non candidarsi nuovamente alla guida del Pd: “Avete il diritto di sconfiggerci, non il diritto di eliminarci”.
Impossibile, in tutta onestà, dargli torto. La democrazia è questa. Ci si misura con i voti, e chi ha più consensi vince. Non certo impedendo a qualcuno di giocare la partita perché si ha il timore o la certezza di perderla. E’ stato sempre così e sempre così sarà in democrazia. Poi chi vince può essere più o meno bravo di chi ha perso, ma questo è un altro discorso.
Detto questo, l’auspicio è che in tempi brevi il Pd, per il ruolo che riveste nella scena politica del nostro Paese, torni ad occuparsi delle questioni che toccano davvero i bisogni della gente e non più quasi esclusivamente di faccende interne.
Allo stesso modo, c’è da sperare che Renzi faccia tesoro di quel che gli è capitato in questi ultimi mesi. In altre parole, che in futuro sia più rispettoso degli altri, sia all’interno che all’esterno del suo partito, che metta in un baule ben chiuso a chiave l’arroganza, la saccenteria e la spavalderia di cui ha fatto ampio sfoggio in questi ultimi tre anni, che punti ad essere politicamente più inclusivo e più disponibile al dialogo, soprattutto con le forze sociali, a cominciare dalle organizzazioni sindacali.
Insomma, Renzi ha indubbie capacità da leader. Lo ha ampiamente dimostrato, insieme ad un’invidiabile energia che sprizza da tutti i pori. Ha le carte in regola, in conclusione, per diventare uno statista.
Ora ha l’occasione per dimostrarlo.