La rottura sarà un bene per tutti: per il Paese, per Renzi, per gli scissionisti
E’ ormai questione di ore. In questo week-end, infatti, dovrebbe esserci la scissione anti-renziana nel Pd, da troppo tempo minacciata fino allo sfinimento e che ha le sue punte di diamante in D’Alema, Speranza, Bersani, Rossi, Emiliano e altri esponenti di minor rilievo.
Diciamoci la verità. Renzi ha le sue colpe, inutile negarlo. Sbruffoncello, a volte poco istituzionale e sopra le righe, ma anche prepotente e soprattutto spesso divisivo.
E gli anti-renziani, tutto sommato, più di una ragione di lamentazione e di critica ce l’hanno, eccome: che Renzi dia la concreta sensazione di occupare più che governare il partito, è apparso evidente; e che sia poco disponibile alla mediazione e poco incline a garantire, se non solo di facciata, il pluralismo all’interno del partito, è cosa abbastanza scontata.
Dall’altra parte, però, non possono essere sottaciute la leadership e le qualità politiche di Renzi, il suo dinamismo, la sua reattività, la sua capacità di essere un trascinatore, il suo indiscutibile consenso nel Pd, la sua forza elettorale nel Paese, indebolita in questi ultimi tempi, ma comunque di gran lunga superiore all’appeal dei suoi avversari interni.
Detto ciò, questa scissione di motivazioni politiche ne ha poche, anzi, per come si sono messe le cose, forse non ne ha nessuna. L’unico vero problema per Bersani, D’ Alema e socì sembra essere l’avversione, l’insofferenza, ormai viscerale e incontenibile, verso Renzi. La vera questione, in parole povere, è soprattutto personale prima che politica.
In ogni caso, la politica comunque c’entra. Se è vero che Renzi e i suoi avversari interni non si sopportano più reciprocamente, uno dei motivi veri della rottura risiede nel fatto che soprattutto non si fidano politicamente, anche in prospettiva delle prossime elezioni e, quindi, per ragioni di vera e propria sopravvivenza, giacché le ipotesi di esiziali regolamenti di conti sono più che plausibili.
Per farla breve, la scissione ci sarà. Sembra, infatti, che non ci siano più margini di dialogo.
Anzi, alla fine, forse questa definitiva rottura politica, contrariamente a quanto si sente dichiarare, sarà un bene per tutti.
Sarà un bene indubbiamente per il Paese, che non può permettersi un partito di maggioranza relativa, e quindi di governo, nella palude di uno scontro interno in corso ormai da fin troppo tempo. Il Pd, per il ruolo che ha, deve pensare a governare, a risolvere i problemi concreti che toccano la gente e non trastullarsi con le beghe interne, per quanto legittime e importanti esse siano.
Sarà un bene a fortiori per il Pd che, oltre a risolvere un problema di leadership, indebolita e messa in discussione dal disastroso esito referendario dello scorso dicembre, è chiamato a definire il programma delle cose da fare, a compiere scelte politiche, altro che accapigliarsi per fissare la data in cui tenere il congresso.
Sarà un bene anche per i possibili scissionisti. Prima vanno via da un partito in cui ormai non contano quasi nulla, sia in termini numerici che politici, più hanno tempo a disposizione per attrezzarsi in vista delle prossime elezioni politiche.
Al di là di tutto ciò, la scissione a questo punto rappresenta un elemento di chiarezza sul ruolo e la natura del Pd, che in questi ultimi anni ha cambiato pelle, in parte anche popolo, tanto da far emergere contraddizioni drammaticamente vissute da molti suoi esponenti, da Fassina a D’Attore, da Civati fino agli scissionisti di oggi.
Tutto ciò è avvenuto per merito o, a secondo dei punti di vista, per colpa di Renzi? Indubbiamente, in gran parte sì, ma è sciocco ritenere che gli altri esponenti, a cominciare da quelli di maggior peso e spessore politico come Franceschini e Gentiloni, ma anche Orlando, Martina e Orfini, non abbiano consapevolmente concorso e inciso sul cambiamento del Pd.
Il tempo dirà chi avrà avuto ragione in questa disputa che forse sta consumando le sue ultime battute. Certo è che il Pd sta completando il suo percorso di cambiamento, per diventare cosa ancora non si sa, ma di sicuro già oggi è assai diverso da come nacque quasi dieci anni fa.
Per il resto, saranno gli elettori a esprimere il loro insindacabile giudizio quando, tra pochi mesi o al più fra un anno, saranno chiamati a rinnovare il Parlamento.
Non resta che attendere.