Referendum, Tino Iannuzzi: “Con il Sì, Italia più credibile e più forte in Europa”
Salernitano, avvocato cassazionista con specifica nel settore amministrativo, Tino Iannuzzi è deputato al Parlamento italiano sin dal 2001, quando si candidò con l’allora Margherita-Ulivo. Lunga militanza politica, prima con la Democrazia Cristiana e poi con le varie trasformazioni politiche del centro sinistra fino al PD, Iannuzzi è Vice Presidente della Commissione Parlamentare Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici, un incarico delicato soprattutto in questo momento che l’Italia sta affrontando le emergenze sismiche.
E’ segnalato per essere uno dei parlamentari più presenti alle sedute assembleari della Camera.
Sua è la proposta di legge circa il recupero e la valorizzazione dei centri storici e dei borghi antichi d’Italia. E’ fondatore e Presidente dell’Associazione Culturale “L’Accento” attiva a Salerno.
Nell’approssimarsi del Referendum Costituzionale gli abbiamo rivolto alcune domande.
Onorevole Iannuzzi, potrebbe dirci almeno tre buone ragioni perché si dovrebbe votare per il “Si”?
Innanzitutto, perché è indispensabile rendere le nostre istituzioni più moderne, più efficienti e funzionali a dare risposte immediate e risolutive ai problemi dei cittadini. Inoltre, ed è la seconda ragione, in presenza dei vorticosi mutamenti che caratterizzano la vita economica, sociale e civile contemporanea, un sistema parlamentare con identiche funzioni nei due rami, non ha più senso. Superare il bicameralismo perfetto significa avere un Parlamento in grado di legiferare più prontamente e più adeguatamente. Infine, e non ultimo, è importante risolvere l’attuale situazione di conflittualità di competenze legislative tra Stato e Regioni. Vanno eliminati conflitti, incertezze, ambiguità che in questi anni hanno generato ricorsi alla Corte Costituzionale provocando soltanto ritardi, rinvii, rallentamenti nell’espletamento di opere di grande importanza nazionale quali infrastrutture strategiche, reti energetiche, insediamenti produttivi. La riscrittura dell’art. 117 della Costituzione fa chiarezza sulle competenze delle Regioni e dello Stato.
Una delle critiche più rilevanti è che il combinato disposto di riforma costituzio-nale e nuova legge elettorale, ovvero l’Italicum, porti ad una modifica della forma di Stato. In pratica, al governo del capo. Pericolo reale?
Non trovo condivisibile questa critica. La riforma costituzionale interviene unicamente sulla parte ordinamentale della Costituzione vigente, non viene toccata una virgola dei principi fondamentali che rimangono fermi ed intangibili, come è giusto che sia. In pratica, non sono modificate le norme dei diritti e doveri dei cittadini. A distanza di tanti anni dall’entrata in vigore della Carta Costituzionale, si interviene esclusivamente per innovare ed adeguare a questo nostro tempo i meccanismi istituzionali attraverso i quali si svolge l’attività dello Stato; di conseguenza dobbiamo esprimere il nostro giudizio sul merito delle modifiche che si realizzano rispetto alla Costituzione vigente.
Ben altra cosa è la legge elettorale che è disciplina di legge ordinaria dello Stato. E su questa il Presidente del Consiglio, Renzi, ha dichiarato la sua disponibilità ad introdurre tutte le modifiche sulle quali è necessario trovare la convergenza di tutte le forze politiche. Ma i poteri del Presidente del Consiglio, del premier, del Governo non sono modificati rispetto a quelli contemplati nella vigente Costituzione.
Onorevole, non sarebbe meglio eliminare completamente il Senato, oppure mantenerlo in vita con elezione diretta in un sistema comunque di bicameralismo non perfetto e con una consistente riduzione sia di deputati che senatori?
Innanzitutto, trovo giusto che il compito di dare la fiducia al governo spetti solo alla Camera dei Deputati e che questa abbia funzione di indirizzo e di esclusiva, concentrando, nel contempo, in larga prevalenza l’attività legislativa. Così come ritengo giuste alcune misure che rafforzino la stabilità del Governo, non del premier, in riferimento alla governabilità. Una democrazia che non ha capacità di governare è una democrazia destinata ad atrofizzarsi, perde fiducia agli occhi dei cittadini. Per questo è stato previsto che le leggi vengano approvate, in larga misura, soltanto dalla Camera. E’ ferma l’approvazione bicamerale per quelle leggi previste dall’art. 70 della Costituzione, restando, così, coerenti con la configurazione del Senato come Camera delle autonomie locali e del territorio. Questa la trasformazione del Senato, che ha, di conseguenza, il titolo per intervenire sulle leggi che riguardano le materie previste dal citato art. 70.
Sulla modalità di elezione dei Senatori, la norma costituzionale fa rinvio ad una legge ordinaria e già con chiarezza abbiamo espresso la nostra volontà di portare avanti la proposta che al Senato ha presentato un nostro Senatore, Chiti, che prevede sostanzialmente che i cittadini, quando andranno a votare il nuovo consiglio regionale, voteranno su una scheda il governatore che vogliono scegliere e il candidato consigliere, dall’altro lato voteranno il consigliere regionale che vorranno investire della funzione di Senatore. Quindi, anche questo problema è assolutamente già in via di totale e soddisfacente soluzione.
Si parla di risparmio grazie alla riforma costituziona-le con la modifica della nuova struttura del Senato e l’abolizione delle Province, di fatto già quasi smantellate del tutto. I costi della politica, invece, non possono essere davvero contenuti riducendo sensibilmente le indennità e i benefit parlamentari nonché diminuendo il loro numero complessivo?
La riforma realizza un risparmio netto, già contabilizzato dalla Ragioneria Generale dello Stato: non avremo più 215 senatori e per i 100 previsti non ci sarà alcuna indennità. Da non dimenticare che c’è l’eliminazione del CNEL, ci sono misure di intervento sui finanziamenti ai gruppi regionali e sulle indennità dei consiglieri regionali. Penso, però, che la più grande riduzione della spesa si avrà nell’aumento dell’efficienza di lavoro parlamentare che garantiremo alle istituzioni: la riduzione dei tempi di approvazione delle leggi, l’eliminazione della navetta per le leggi tra Camera e Senato prima che si giunga ad un’approvazione definitiva è eliminazione di dispendi di energie e risorse. Si capisce facilmente, quindi, che l’approvazione di una legge da parte di un solo ramo del Parlamento significa efficienza ed efficacia, con riduzione delle conseguenze negative ora esistenti. E questo è riduzione dei costi per la collettività.
Per quanto riguarda il problema dell’indennità dei parlamentari, ho sempre considerato il ruolo di parlamentare come un grande onore e una grande responsabilità, e ho cercato sempre di svolgere il mio ruolo con grande assiduità e con la massima attenzione possibile. Penso, quindi, che sia giusto collegare in maniera drastica e netta l’indennità dei parlamentari al loro lavoro, alla loro presenza, alla loro partecipazione. Chi non partecipa o partecipa poco o male, deve ricevere anche una netta decurtazione degli emolumenti.
Onorevole, certamente il procedimento di revisione costituzionale è complesso e politicamente irto di ostacoli e impedimenti. Tuttavia, non crede che sia fondata l’accusa di una riforma assai raffazzonata?
Innanzitutto, la riforma ha avuto sei letture e sei approvazioni distinte tra Camera e Senato, se n’è discusso per un gran numero di mesi, ci sono stati confronti lunghissimi nelle commissioni in aula, tanti emendamenti presentati e molti emendamenti delle diverse forze politiche accolti. Ma non dimentichiamo che di riforma si sta parlando da almeno 30 anni: sono state nominate ben tre commissioni parlamentari, la Bozzi, la De Mita-Iotti e la D’Alema: tutte hanno lavorato invano. Ci sono intere biblioteche con proposte, atti di convegno e quant’altro dedicato a questo argomento, senza che si sia mai approdato a qualcosa. Per cui decade ogni accusa di operato frettoloso e sbrigativo. Questa riforma si attende da anni ed oggi abbiamo un testo ampiamente discusso e approvato. Certamente non è la riforma migliore in assoluto, che, tra l’altro, non esiste. E’ una riforma che risente anche di una serie di compromessi e di mediazioni operate in nome di un rispetto della democrazia e mi riferisco ai gruppi parlamentari, quindi alla sovranità popolare. Ma è una riforma che si pone degli obiettivi che tutti, anche i più strenui sostenitori del no, ritengono necessari: eliminazione del bicameralismo perfetto e dei conflitti tra Stato e Regioni. Sono convinto che vincerà il “Si”, ma se dovesse prevalere il “No”, allora avremo una riforma rinviata senza scadenza: i sostenitori del “No” sono animati esclusivamente dalla volontà di mandare a casa il Governo Renzi. Ecco perché va ricordato che il 4 dicembre non si vota su Renzi e il Governo, ma sul merito e le scelte di una riforma. Se vince il “No” tutto resta tale e quale ad ora.
In tutta onestà, ci dice un punto della riforma costituzionale su cui quelli del “No”, a suo avviso, potrebbero avere ragione o, se preferisce, c’è qualcosa della riforma che non condivide appieno?
Quando una riforma costituzionale di questa portata viene sottoposta al giudizio dei cittadini, questo deve essere concentrato sulle grandi scelte di fondo, non sui singoli aspetti. E le grandi scelte sono eliminazione del bicameralismo perfetto, eliminazione dei conflitti tra Stato e Regioni, riduzione dei costi della politica, ampliamento degli spazi di democrazia. Infatti modifichiamo la disciplina del referendum abrogativo riducendo il quorum necessario per la validità della consultazione, perché quando ci sono 800 mila sottoscrizioni per la richiesta referendaria, il referendum è valido se partecipa al voto la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera dei Deputati. Inoltre, introduciamo i referendum di indirizzo, il referendum propositivo che non era previsto, in pratica allarghiamo gli spazi di democrazia. È chiaro che nell’ultima lettura al Senato, soprattutto in relazione alla formulazione dell’articolo 70 della Costituzione, circa le competenze legislative del Senato, c’è stato qualche appesantimento ma, in tutta franchezza, questo non può portare a scalfire un giudizio complessivo sulla riforma, che è una riforma buona, positiva, che serve all’Italia. Rende l’Italia un Paese più credibile e più forte in Europa e nel mondo, un Paese che finalmente si pone gli obbiettivi e li realizza.
Onorevole, mi consenta un’ultima domanda. Quello del referendum, più che sul merito della riforma, sembra, sempre più, essere un voto pro o contro Renzi e la riforma costituzionale diventa solo un pretesto. Cosa succederà dopo il 4 dicembre qualora vinceranno i “No”?
Votare sulla base di una posizione politica, cioè il giudizio su Renzi o sul governo, è un errore. Il giudizio su Renzi lo si darà all’interno del Partito Democratico con il congresso. Per cui chi vorrà combattere Renzi, si candiderà alla segreteria nazionale e cercherà di vincere il congresso.
Per quanto riguarda la leadership e la guida del Governo, chi si oppone a Renzi avrà, nelle elezioni politiche, tutte le possibilità e il diritto di trovare i consensi per mandare a casa Renzi.
Va, pertanto, da sé che bisogna votare sul merito della riforma, se le grandi scelte della riforma vanno bene o vanno male. E su questo devono pronunciarsi i votanti.
Su cosa succederà dopo il 4 dicembre, dico che sono sicuro della vittoria del “Si”, per cui la risposta è già data.