Referendum, Enzo Maraio: “Se vince il No, l’Italia perderà un’occasione di sviluppo”
Nato a Polla nel 1978, cresciuto a Salerno, dove si è laureato in giurisprudenza per poi diventare avvocato, sposato, il consigliere regionale della Campania Enzo Maraio è impegnato in politica da sempre ed è ormai, nonostante la sua giovanissima età, un esponente di rilievo nazionale del Partito Socialista. In vista del voto del prossimo referendum, che si terrà fra un mese esatto, all’onorevole Maraio chiediamo le ragioni della sua convinta campagna a sostegno del SI.
Ci dice almeno tre buone ragioni per votare SI al prossimo referendum?
Se vuole posso dirgliene cinque: superamento del bicameralismo paritario con conseguente velocizzazione dell’iter legislativo, eliminazione delle province e del CNEL, parità di genere inserita nella Costituzione, referendum propositivo, ridefinizione dei poteri tra Stato e Regioni con l’eliminazione delle materie concorrenti introdotte con una riforma, quella del Titolo V del 2001, che ha creato tanti problemi in termini di immobilismo per il conflitto di competenze tre i due livelli.
Il Senato non era meglio eliminarlo, oppure mantenerlo in vita con elezione diretta in un sistema comunque di bicameralismo non perfetto e con una consistente riduzione sia di deputati che senatori?
Il sistema bicamerale, nell’Europa geografica, è presente solo in Svizzera e in Romania. Non ha senso mantenere due rami del parlamento, essendo mutata la realtà storica rispetto a quella degli anni ’40, dove era cocente il timore della degenerazione autoritaria, chiusa con la sconfitta del fascismo. Il Senato dopo il 4 dicembre sarà composto da Consiglieri Regionali e dai Sindaci che non percepiranno ulteriori indennità per il mandato senatoriale. Questa riforma riduce di circa trecento unità gli attuali parlamentari consentendo un notevole risparmio per i “costi della politica”. Approviamo una riforma che rende il Senato reale interprete e portavoce delle istanze dei territori. Diventerà un fondamentale punto di collegamento fra le istituzioni.
Una delle critiche più rilevanti è che il combinato disposto di riforma costituzionale e nuova legge elettorale, ovvero l’Italicum, porti ad una modifica della forma di Stato, in pratica, al governo del capo. Non esiste forse questo pericolo?
Assolutamente no. Mi permetta di fare alcune precisazioni per i lettori: con il referendum non andiamo ad approvare o a modificare la legge elettorale, che, essendo una legge ordinaria, può essere modificata in qualsiasi momento dal Parlamento e mai assurgerà a legge costituzionale. Quindi parlare di modifica della forma di Stato mi sembra eccessivo, considerato anche il fatto che la riforma costituzionale non modifica i principi fondamentali della Costituzione (la prima parte), anzi li rafforza ridefinendo e migliorando, con la modifica della seconda parte, l’assetto organizzativo dello Stato.
Per quanto riguarda l’Italicum, i socialisti in parlamento hanno depositato già dallo scorso febbraio una proposta di modifica della legge elettorale attualmente in vigore. Nello specifico sono tre i punti sui quali abbiamo più di qualche dubbio (confermati, tra l’altro, anche dalla Consulta dello Stato): le differenze fra i capilista e i parlamentari eletti con le preferenze; il ballottaggio; il premio di maggioranza da assegnare alla coalizione e non alla lista maggiormente votata. Posizione, tra l’altro, che abbiamo confermato durante le “consultazioni” che il Governo ha avviato con i partiti per modificare l’Italicum.
Si parla di risparmio grazie alla riforma costituzionale con la modifica della nuova struttura del Senato e l’abolizione delle Province, di fatto già quasi smantellate del tutto. I costi della politica, invece, non possono essere davvero contenuti riducendo sensibilmente le indennità e i benefit parlamentari nonché diminuendo il loro numero complessivo?
Sotto questo aspetto la riforma costituzionale fa due salti di qualità: vengono diminuiti i parlamentari e vengono dimezzate le indennità dei consiglieri regionali con il relativo azzeramento dei fondi a disposizione dei gruppi consiliari. Per quanto riguarda le Province, dopo la riforma “Del Rio” andava completato l’iter; con l’approvazione della riforma costituzionale le Province vengono del tutto eliminate e, quindi, si conclude il processo di razionalizzazione degli enti locali avviato nel primo anno del Governo Renzi.
Il procedimento di revisione costituzionale è complesso e politicamente irto di ostacoli e impedimenti. Tuttavia, non crede che sia fondata l’accusa di una riforma assai raffazzonata?
Ho precisato spesso che questa non è la migliore riforma possibile: noi l’avremmo concepita diversamente se avessimo avuto i numeri per farlo. Ma penso che sia una buona riforma. In Italia oggi c’è l’esigenza di avviare un nuovo percorso che sappia nel tempo attirare gli investimenti necessari per riavviare il tessuto economico e sociale. Alcuni provvedimenti sono determinanti per rispondere alle esigenze del mondo economico ed imprenditoriale. Oggi il Governo, per misure di urgenza in materie di sviluppo economico, impiega fino a due-tre anni per approvare una legge che risolva i reali problemi degli imprenditori. Con l’inserimento dei provvedimenti a data certa in Costituzione, il parlamento sarà obbligato ad approvare le leggi urgenti in massimo settanta giorni.
In tutta onesta, ci dice un punto della riforma costituzionale su cui quelli del NO, a suo avviso, potrebbero avere ragione o, se preferisce, c’è qualcosa della riforma che non condivide appieno?
Avrei trovato una formula diversa per garantire stabilità alle maggioranze parlamentari, con particolare riferimento al Senato, dove si rischia di vedere, in corso d’opera, modificate le maggioranze, con il mutarsi dei Governi regionali dopo ogni elezione.
Un’ultima domanda. Quella del referendum più che sul merito della riforma, è un voto pro o contro Renzi. Insomma, la riforma costituzionale è solo un pretesto. Cosa succederà dopo il 4 dicembre qualora vinceranno i NO?
Non credo succeda nulla. Il Presidente del Consiglio Renzi ha più volte ammesso di aver sbagliato a “personalizzare” il referendum. Dopo il 4 dicembre, qualora vincesse il No, l’Italia avrà perso solo una occasione di sviluppo e rinnovamento delle istituzioni. Si tornerà punto e a capo con la necessità di rinnovamento dell’organizzazione delle istituzioni che trova tutti d’accordo, compresi quelli che oggi votano no e ieri hanno avuto la possibilità ed il potere di farlo, senza riuscirci.