Il potere, piccolo o grande che sia, è un onere, da portare con umiltà, avendo la consapevolezza della sua transitorietà, e non una patacca da appuntare in modo sprezzante sul petto
Forse la distopia più inquietante, quella che vede all’orizzonte la consegna del ruolo di capo della prima potenza militare del mondo ad un bislacco signore un po’ agè che ti aspetteresti di incontrare in un remoto bar della provincia americana a bere cattivo whisky e a infilare qualche dollaro nelle mutande di una ballerina di lap dance, si sta allontanando.
Forse Donald Trump non diventerà mai presidente degli Stati Uniti. Certamente questa campagna elettorale americana passerà alla storia per la sua violenza verbale e per le bizzarrie ascoltate. Da ultima l’accusa di “incompetenza” mossa dal candidato repubblicano ad Obama.
Berlusconi per criticare i D’Alema e i Veltroni li definiva in modo sprezzante “professionisti della politica”. Trump sceglie il paradosso, e dà dell’incompetente al presidente in carica, invertendo l’ordine naturale delle accuse.
Ma, boutade a parte, che significato può avere in questa precaria stagione l’aggettivo “competente” riferito ad un politico? Il tema ha senso. In America ma anche da noi. Con altre parole: c’è un quid, oltre quel minimo sindacale di cultura, di civismo, di eticità, che deve caratterizzare l’attività di chi esercita il ruolo di rappresentanza popolare e, magari, anche di governo?
In Italia l’ingresso in Parlamento di circa il 70% di nuovi e giovani ha concretamente posto il problema della qualità e delle competenze. Ma anche del “merito”, perché le leggi elettorali vigenti hanno consentito la conquista dei seggi anche a persone che avevano raccolto poche decine di voti on line o a candidati la cui unica provata qualità è stata quella di tenersi stretto il rapporto con il capo che compilava le liste.
Persone senza alcun ” merito”, dunque. C’è un rapporto tra la qualità (evidentemente non eccelsa) della politica dei nostri giorni e la qualità media di chi la interpreta a livello di rappresentanza parlamentare? Ma certo. Chi è chiamato alla rappresentanza politica, soprattutto ai livelli più alti, ha il dovere della competenza, dell’autonomia di giudizio, dell’onestà intellettuale che deve consentire di scegliere sempre la strada che, secondo coscienza, può rivelarsi più favorevole per i cittadini. Cultura e, possibilmente, attitudine al “servizio”, come usava dirsi una volta.
Perché il potere, piccolo o grande che sia, è un onere, da portare con umiltà avendo la consapevolezza della sua transitorietà. Non una patacca da appuntare sul petto, lasciando che il volto sia segnato da una leggera sprezzatura. Evidentemente questo fondamentale concetto non è riuscito a trovare spazio nei molti absolute beginners di questa nuova politica italiana. E neanche nei nuovi competitori che in America sfidano la politica “usato garantito” incarnata da Hillary.
Che può piacere o no. Ma Hillary di competenza, caro Donald Trump, ne ha. Da vendere.
Pino Pisicchio
Presidente del Gruppo Misto alla Camera dei deputati