Placatesi le polemiche scatenate sui social, oltre che sui media nazionali, per la tristissima vicenda della bella Tiziana, la trentunenne ragazza di Mugnano suicidatasi per i video hard pubblicati a sua insaputa su Facebook, qualche considerazione, a mente fredda, è da fare.
La ragazza suicida si è trovata, nonostante l’età che presuppone una raggiunta maturità, in una vicenda più grande di lei dalla quale non ha saputo uscire.
La video-registrazione di rapporti sessuali consenzienti a scopi privati, può essere moralmente censurabile, ma legalmente consentita: per la legge chiunque può usare il proprio corpo come più piace, e può video-registrare le sue intime azioni, anche spinte, e può tranquillamente rivederle, da solo o in compagnia di chi gli aggrada, senza che per questo debba sentirsi un fuorilegge o debba preoccuparsene più di tanto.
Si da il caso, però, che la poveretta sia rimasta vittima di una sorta di voyerismo collettivo, provocato da lei stessa, inconsapevolmente e con estrema superficialità.
Nessuno può illudersi, se sano di mente e conscio della potenza ma anche della pericolosità dei moderni sistemi informatici e dei social net-work che li utilizzano, che un video diffuso in rete, anche se destinato ad un limitato gruppo di persone, possa con certezza godere della riservatezza che ci si illude di preservare, specialmente se chi lo riceve è, (come sembra sia stato nell’episodio del quale ci occupiamo) tutt’altro che affidabile e, a dir poco, per niente raccomandabile: tant’è che qualcuno dei destinatari di quei filmati, ritenuto dalla povera ragazza, amico affidabile e riservato, non si è fatto scrupolo di diffonderli in rete, il che, tra l’altro, denota lo scarsissimo affetto che questa persona (o queste persone) avesse per la poveretta che si è poi suicidata.
E’ chiaro che la ragazza sia stata travolta da una vicenda più grande di lei ed ha cercato in tutti i modi di arginarla, con denunce e querele, che hanno portato a un processo nel quale i “social” sono stati condannati a rimuovere i video (cosa che era già avvenuta), ma si è vista condannata ad un pesante indennizzo nei confronti proprio di quei “social”, la qualcosa l’ha ulteriormente prostrata fisicamente e psichicamente.
Ora la vicenda avrà ulteriori strascichi giudiziari visto che non è stato ancora definitivamente accertato chi, tra gli “amici” destinatari dei filmati, li abbia diffusi in rete.
Ma costoro (o costui) si porteranno dietro, a vita, il rimorso di aver agito con grande leggerezza, giacché con il loro superficiale modo di fare hanno provocato questa tragedia che la famiglia, i veri amici, e tutte le persone sensibili, non potranno più dimenticare; e per costoro la condanna morale è scontata.
Che dire, infine, dei commenti sui social da parte di tante persone che passano il loro tempo a “navigare” ed a scrutare in rete le più pruriginose cose, e che poi si sbizzarriscono a scrivere, sempre in rete, epiteti quasi irripetibili, t….a, pu…na, zo…la e via dicendo: sono solo squallidi personaggi che, coperti dall’anonimato, esternano le loro frustrazioni attraverso commenti demenziali, magari frustrati anche per non aver potuto anch’essi partecipare a “quei festini”.
Ci auguriamo che la vicenda, e il sacrificio della ragazza suicida, siano di monito a tutti di non fidarsi di qualcosa di incontrollabile, com’è oggi la rete web.