Dopo il precedente articolo sulle ragioni del SI al referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre, veniamo ora alle ragioni dei sostenitori del “NO”.
Innanzi tutto, la riforma costituzionale approvata dal Parlamento produce semplificazione?
No, perché moltiplica fino a dieci i procedimenti legislativi e incrementa la confusione
Amplia la partecipazione diretta da parte dei cittadini?
No, giacché triplica da 50.000 a 150.000 le firme per i disegni di legge di iniziativa popolare
Supera il bicameralismo?
No, anzi lo rende più confuso e crea conflitti di competenza tra Stato e regioni, tra Camera e nuovo Senato.
È una riforma innovativa?
No, perché conserva e rafforza il potere centrale a danno delle autonomie, private di mezzi finanziari.
Diminuiscono i costi della politica?
No, perché i costi del Senato sono ridotti solo di un quinto; e se il problema sono i costi perché non dimezzare i deputati della Camera?
Questa riforma che non riduce i costi, non migliora la qualità dell’iter legislativo, ma scippa la sovranità dalle mani del popolo.
È una riforma chiara e comprensibile?
No, perché è scritta in modo da non essere facilmente comprensibile.
È il frutto della volontà autonoma del parlamento?
No, perché è stata scritta sotto dettatura del governo (per la verità al Governo era stata conferita apposita delega dal Parlamento: ndr)
Garantisce l’equilibrio tra i poteri costituzionali?
No, perché mette gli organi di garanzia (Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale) in mano alla falsa maggioranza prodotta dal premio.
I componenti del nuovo Senato godranno dell’immunità parlamentare?
Si, i 100 senatori godranno dell’immunità parlamentare, con il rischio che tutti i presidenti di regione e i sindaci di città importanti si faranno eleggere senatori per godere di questa immunità e poi non parteciperanno ai lavori del Senato che sarà quindi svuotato di ogni contenuto.
A mio parere, c’è da dire, comunque, che questa riforma corregge anche le storture introdotte nelle precedenti modifica della Costituzione, specialmente quelle che introdussero il “federalismo” demandando alle Regioni materie di interesse generale che debbono rimanere di competenza del Governo centrale del Paese; ma, nel contempo, crea un organo legislativo (il nuovo Senato) che si occupa quasi esclusivamente degli Enti locali (Regioni e Comuni) dei quali cura e tutela gli interessi, avendo anche la possibilità di intervenire, se necessario, sulle leggi di interesse generale del Paese.