LA FINESTRA SUL CORTILE Per una Chiesa senza verniciatura di cristianesimo
Domani pomeriggio a Palazzo di Città di Cava de’ Tirreni sarà conferita, con colpevole ritardo e nell’incomprensibile silenzio della chiesa locale, la cittadinanza onoraria a Monsignor Beniamino Depalma, arcivescovo della Diocesi di Nola, già Arcivescovo della nostra Arcidiocesi.
E’ il giusto tributo che la Città di Cava dei Tirreni -grazie all’iniziativa promossa con entusiastica perseveranza dal consigliere comunale Armando Lamberti- attribuisce ad un Pastore di anime che tanto ha dato alla città metelliana e la cui perdita spirituale molto si è avvertita nell’ultimo decennio.
Pugliese di nascita, religioso della Congregazione della Missione, Monsignor Depalma era succeduto a Monsignor Palatucci il 7 dicembre del 1990 e aveva iniziato il suo ministero nella nostra Arcidiocesi il successivo 23 febbraio 1991.
Con equilibrio, ma con perseveranza e costanza, Monsignor Depalma impresse da subito la sua direttrice di marcia per una Chiesa sempre più conciliare, aperta alla comunità. Con gradualità e lungimiranza cambiò e vivacizzo il volto della Chiesa cavese, facendola diventare ancor più un forte punto di riferimento culturale e politico.
Quella che si viveva in quegli anni, era un’epoca assai travagliata, densa di cambiamenti, soprattutto nell’ambito politico. Erano, infatti, gli anni in cui iniziava “Tangentopoli”, le inchieste sulla corruzione politica che principiarono dalla Procura di Milano ma che in breve tempo si estesero in tutto il Paese. La classe dirigente di allora fu travolta dalle indagini della magistratura e il panorama politico da lì a poco risultò sconvolto con la scomparsa dei partiti, che avevano fatto la storia della Repubblica.
Insomma, uno sconvolgimento epocale che infiammò l’intero Paese. E tra le conseguenze del momento, l’inizio della diaspora democristiana. Anche in questo, la Chiesa di Monsignor Depalma svolse un ruolo importante, rivelandosi, per molti cattolici impegnati in politica, un rifugio sicuro e l’arcivescovo, il migliore dei pastori che la Divina Provvidenza potesse inviare in quel momento a un gregge così smarrito.
La Chiesa cavese, infatti, non rimase estranea a quella confusa stagione di cambiamenti. Anzi, come ho ricordato qualche anno fa in una pubblicazione sulla cronaca cittadina del decennio a cavallo dei due secoli, «proprio in quegli anni e in quelli immediatamente successivi, svolse un ruolo materno di guida e di accoglienza di un mondo cattolico frastornato e alla ricerca di certezze».
Nella sua prima lettera pastorale, alla fine del 1991, chiamò i credenti ad un maggiore impegno, conferendo centralità ai laici e ai giovani.
«La nostra Chiesa diocesana –scriveva l’Arcivescovo- intende prendere l’iniziativa di andare alla gente, ai luoghi e agli ambienti in cui essa vive, combatte, sogna, soffre, progetta, dispera».
In poco tempo la Chiesa di Amalfi e Cava divenne una fucina di idee, di iniziative, di manifestazioni. I laici con Depalma divennero i protagonisti e furono in molti ad assumere ruoli di responsabilità nella struttura organizzativa della Diocesi: Alessio Cammarano, Enzo Prisco, Armando Lamberti, Marco Galdi e tanti altri ancora.
Un ruolo non marginale, in questo senso, ebbe il mensile socio-religioso diocesano “Fermento”, fondato tra la fine del 1992 e i primi mesi del 1993 proprio Monsignor Depalma, il quale mi chiamò a dirigerlo, su indicazione del professor Gennaro Galdo, che ricopriva l’incarico di direttore editoriale. “Fermento” gradualmente si affermò come strumento ad ampio spettro di riflessione e di dialogo all’interno della comunità diocesana e all’esterno rispetto a tutto ciò che si muoveva sul territorio. Il giornale fu anche l’occasione per coinvolgere decine di giovani e meno giovani, ed ebbe proprio nell’Arcivescovo il suo ispiratore e la sua guida. Erano, gli ultimi del secolo scorso, gli anni del progetto culturale della Chiesa italiana, il tentativo cioè della Chiesa del nostro Paese di non smarrire la sua identità e di enucleare i valori cardini della sua fede.
“La società italiana –scriveva in proposito l’Arcivescovo Depalma in un editoriale pubblicato nel marzo del 1998- vive oggi un grande tormento: è alla fine dell’epoca moderna, ma non è ancora ben visibile quella post-moderna”. E continuava denunciando, tra l’altro, che non era più sopportabile continuare a mantenere una “verniciatura di cristianesimo” e un “paganesimo di fatto”.
Parole ancora fresche, attuali, come quelle rivolte alle comunità parrocchiali dell’Arcidiocesi, sempre attraverso le pagine di Fermento nel luglio del 1997, per affermare “l’obbligo e il dovere di contribuire a creare una coscienza civica, di educare alla solidarietà e alla condivisione, di formare soprattutto le nuove generazioni all’impegno personale rifiutando nefasti atteggiamenti di delega e di disinteresse nei riguardi della Cosa Pubblica”.
Tutto ciò, dopo che Monsignor Depalama nel 1999 lasciò la nostra Diocesi per quella molto più impegnativa di Nola, è andato quasi del tutto irrimediabilmente perduto. Oddio, le parole, le frasi fatte, la declamazione delle buone intenzioni non sono per nulla mancate, ma a far spesso difetto sono stati i fatti concreti nella realtà quotidiana, la profondità spirituale, lo spessore culturale.
In fondo, il conferimento della cittadinanza onoraria a Depalma altro non è che una sorta di certificazione di quello che abbiamo perduto come città.
E’ triste dirlo, ma questo è.