Maurizio de Giovanni, il grande giallista italiano: “Mi piace raccontare le passioni”
Maurizio de Giovanni nasce nel 1958 a Napoli, dove tuttora vive e lavora. Nel 2005 vince un concorso per giallisti esordienti con un racconto incentrato sulla figura del commissario Ricciardi, temporalmente posizionato nella Napoli degli anni Trenta. Il personaggio, che gli ispira un ciclo di romanzi, ha una virtù speciale: è capace di rivivere “il Fatto”, gli ultimi istanti di vita delle vittime su cui indaga. Ma de Giovanni è anche l’artefice della serie dell’ispettore Lojacono e I Bastardi di Pizzofalcone, poliziotti maledetti e sgangherati solo all’apparenza, nella Napoli di oggi. Nei suoi romanzi, ambientati in una Napoli piena di vicoli e storie da raccontare, si muovono personaggi che palpitano di vita vera. Con loro de Giovanni ha creato veri e propri mondi paralleli pregni di ogni gamma di sentimenti.
Maurizio de Giovanni, lei è noto al grande pubblico per essere uno dei più famosi scrittori di gialli in Italia, da alcuni paragonato al grande Andrea Camilleri. Perché la scelta specifica di questo filone narrativo?
Ognuno di noi ha la sua storia. Non ci si siede a scrivere pensando a quale genere di storia si elaborerà. Ciascuno è portato a raccontare la storia che ha in mente, che al centro di questa storia ci sia un amore o un delitto cambia poco, l’importante è che si scriva quello che ci si sente di raccontare. Le passioni cambiano colore a seconda delle temperature cui vengono sottoposte, un delitto è un grandissimo cambiamento di temperatura per una passione; per cui un amore, un’amicizia o anche un amore genitoriale e filiale sottoposti ad una forte sollecitazione possono cambiare colore e diventare una cosa diversa da se stessa, anche il proprio opposto. Per cui la variazione del corso di un grande sentimento può portare al delitto proprio a fronte di una forte emozione, il racconto di questa emozione è quello che a me interessa.
Quindi i leitmotiv dei suoi racconti sono le passioni?
Sì. Io non scrivo mai di camorra, non perché io sia un negazionista. La camorra esiste, ma è una macchina e a me non interessa raccontare il funzionamento di una macchina, mi piace raccontare le passioni, le emozioni e confrontare i sentimenti. Anche il mio libro sul calcio, “Il resto della settimana”, è il racconto di una passione, una grande passione collettiva che merita di essere raccontata.
Non c’è il rischio che le passioni possano degradare nel fanatismo?
Certamente, ogni passione può prendere una deriva pericolosa se lasciata senza freno, se la si fa diventare un’ossessione diventa pericolosa. Senza passione non si può vivere, ma le passioni possono essere la causa dell’infelicità personale e altrui.
Una città di passioni e colori a tinte forti è Napoli. Se lei non fosse nato nella città partenopea, sarebbe diventato ugualmente uno scrittore oppure no?
Non credo, non penso che avrei mai scritto. Questo perché io scrivo sempre della mia città e non riesco a immaginare di raccontare storie che non siano ambientate nella mia città. Ritengo che questo derivi dal fatto che sia una città estremamente particolare e diversa da tutte le altre, una città che ha dentro se stessa il contenuto di tutto, fatta di maree che salgono e scendono. Napoli è costantemente in ebollizione.
La peculiarità del commissario Ricciardi, denominata “il Fatto”, è la capacità di poter percepire l’ultima frase e gli ultimi istanti di vita delle vittime d’incidenti e omicidi; a causa di questa sua caratteristica è perennemente triste e vive male anche l’amore. Perché ha voluto connotare il più famoso dei suoi personaggi di questo corollario?
Ricciardi percepisce il dolore e questa sua capacità gli fa credere di essere pazzo e lontano dalla possibilità di condividere questa follia. Non c’è amore senza condivisione, quindi per Ricciardi esiste una preclusione dell’amore che lui sente fortissima, e questo lo rende solitario. Quello che a me interessava proporre era una metafora della compassione. Il commissario Ricciardi ha quello che dovremmo avere tutti: un fortissimo, profondo e assoluto coinvolgimento nel dolore degli altri. Noi invece dal dolore altrui sappiamo prendere le distanze. Basta girare la pagina, cambiare canale o marciapiede e lo scansiamo. Ricciardi ha la caratteristica di non riuscire a evitare il dolore degli altri, e paradossalmente questo sentimento che dovrebbe essere il più altruistico, lo rende invece solo.
Ci potrebbe essere un’evoluzione del personaggio e del “Fatto”?
Certo che sì. Ho appena finito di scrivere il prossimo libro. Ogni libro comporta un’evoluzione e un passo in una determinata direzione, io non amo costringere i miei personaggi a una trama predeterminata quindi non scelgo prima cosa devo far succedere. Devo dire che la conclusione del romanzo che ho appena terminato ha molto sorpreso anche me. Mi auguro che anche i lettori rimarranno colpiti e anche un po’ emozionati da questa storia.
Il libro quindi arriva alla soglia della pubblicazione con le ultime rifiniture?
Io sono uno scrittore un po’ particolare. Mentre gli altri consegnano con largo anticipo e aspettano tutto l’iter prima della pubblicazione, io scrivo ogni romanzo in trenta giorni, una volta sola trentaquattro, e quando finisco il romanzo non occorre che lo controlli nuovamente perché io vedo la storia che racconto. E’ come se dovessi chiedere di tornare indietro su di una cosa che sto vedendo adesso.
Si parla tanto della serie del commissario Ricciardi, un po’ meno di quella dei “Bastardi di Pizzofalcone” e dell’ispettore Lojacono, dalla quale è stata tratta una fiction che andrà in onda su Rai Uno in autunno e vedrà tra gli attori Alessandro Gassman e Carolina Crescentini. Da dove nasce l’idea di questi personaggi?
Dopo cinque romanzi su Ricciardi, volevo vedere se ero in grado di scrivere anche qualcosa di contemporaneo e così vide la genesi nel 2012 “Il metodo del coccodrillo”, un libro molto duro, forse il più difficile e doloroso che io abbia scritto, che vinse il Premio Scerbanenco (il premio italiano più importante per il genere giallo). Mi affezionai al personaggio di Lojacono e provai a metterlo all’interno di una squadra; i bastardi di Pizzofalcone fin da subito sono stati molto amati dai lettori, anzi, sta crescendo sempre più il gruppo di lettori che amano Lojacono più di Ricciardi, e quel tipo di narrazione più attuale, veloce e sincopata rispetto a Ricciardi che è più sentimentale.
Lei ha collaborato con il gruppo della fiction?
Ho supervisionato la sceneggiatura perché dovevo cautelare l’esistenza dei miei personaggi. Lo stesso sto facendo per la fiction su Ricciardi che stiamo cominciando a scrivere adesso.
Il titolo del prossimo libro in uscita il 28 giugno?
Serenata senza nome.
(Foto Gabriele Durante)