In tanti lo sapevano, per conoscenza diretta o per sentito dire, che tantissimi non si curano o rinviano le cure per mancanza di soldi e non solo i pensionati con pensione al minimo (oppure con una pensione meno striminzita ma che sostengono spese per il fitto, per le bollette sempre più salate o per aiutare qualche familiare in difficoltà).
Ma ora è ufficiale, in quanto anche il Censis, dall’alto del suo prestigio e credibilità, ha accertato che gli italiani che procrastinano o rinunciano a curarsi, per motivi economici, sono oltre 11.milioni, ben 2.milioni in più rispetto al 2012, anno della precedente rilevazione.
Il Censis, Centro Studi Investimenti Sociali, è un istituto di ricerca socio-economica fondato nel 1964 e che dal 1973 è diventato una Fondazione riconosciuta con Dpr n. 712 dell’11 ottobre 1973.
Il Censis svolge da oltre cinquant’anni una costante e articolata attività di ricerca, consulenza e assistenza tecnica in campo socio-economico prevalentemente attraverso incarichi da parte di ministeri, amministrazioni regionali, provinciali, comunali, camere di commercio, associazioni imprenditoriali e professionali, istituti di credito, aziende private, gestori di reti, organismi internazionali, nonché nell’ambito dei programmi dell’Unione europea.
L’annuale «Rapporto sulla situazione sociale del Paese», redatto dal Censis sin dal 1967, viene considerato il più qualificato e completo strumento di interpretazione della realtà italiana.
Dalle rilevazioni effettuate risulta che quelli che risentono maggiormente della crisi e che rinunciano a curarsi sono circa 2,4 milioni di anziani e 2,2 milioni di “giovani” (nati tra gli anni ’80 e il 2000).
Negli ultimi due anni la spesa sanitaria extra ticket, non rimborsata dal Servizio Sanitario Nazionale, è aumentata di 80 euro a persona; dal 2013 al 2015 si è passati da 485 a 569 euro pro-capite mentre, nello stesso arco di tempo è salita a quota 34,5 miliardi di euro la spesa sanitaria privata, con un incremento del 3,2%: nel mentre l’aumento della spesa complessiva per i consumi delle famiglie è stato del +1,7%, l’aumento della spesa per la sanità privata è stato, invece, del + 3,2% .
Per vari motivi gli italiani ricorrono sempre più spesso alla sanità privata: e i motivi possono essere tanti, ma principalmente la difficoltà di ottenere una prenotazione in tempi brevi in quanto le liste di attesa dei CUP sono sempre più intasate, i tempi si allungano a dismisura e chi non può attendere è costretto a ricorrere alla sanità privata, presso studi privati o “intramoenia”, vale a dire le visite private che vengono effettuate da medici dipendenti delle strutture pubbliche ma che si avvalgono della facoltà di effettuare anche visite private all’interno delle strutture pubbliche delle quali sono dipendenti.
Sono 7,1 milioni gli italiani che nell’ultimo anno hanno fatto ricorso all’intramoenia, il 66,4% dei quali proprio per evitare le lunghe liste d’attesa, ma non solo: infatti il 30,2% si è rivolto alla sanità a pagamento anche perché i laboratori, gli ambulatori e gli studi medici sono aperti nel pomeriggio, la sera e nei weekend.
Ma è anche lo scadimento e la scarsa affidabilità della qualità del servizio sanitario pubblico che induce i pazienti a rivolgersi “privatamente” agli stessi medici dipendenti dello stesso, i quali, nel mentre assicurano prestazioni in breve tempo, comunque si avvalgono delle attrezzature messe a disposizione delle strutture dalle quali dipendono; il che dovrebbe far riflettere anche su un altro aspetto della questione, vale a dire la effettiva necessità di ricorrere, volontariamente o perché indotti, a tale tipo di assistenza.
In merito alla qualità del servizio sanitario pubblico, per il 45,1% degli italiani essa è peggiorata negli ultimi due anni: lo pensa il 39,4% dei residenti nel Nord-Ovest, il 35,4% nel Nord-Est, il 49% al Centro, il 52,8% al Sud. Per il 41,4% è rimasta inalterata e solo per il 13,5% è migliorata.
Dal canto suo ministra della Salute Beatrice Lorenzin ritiene che «la soluzione passa da una profonda riorganizzazione del sistema delle liste di attesa, soprattutto in alcune regioni italiane. Infatti mentre alcuni territori del nostro Paese offrono modelli sanitari d’avanguardia, altre regioni non garantiscono, come dovrebbero, il funzionamento della rete territoriale, prima e dopo il ricovero in ospedale. L’obiettivo è quello di uniformare l’intero territorio nazionale su questi standard elevati, così da permettere a ciascun cittadino di ottenere in tempi rapidi le prestazioni sanitarie di qualità».
Brava Ministra Lorenzin: ma allora perché non riorganizza le liste d’attesa?
Nella ricerca viene anche evidenziato che sono 5,4 milioni i cittadini che nell’ultimo anno hanno ricevuto prescrizioni di farmaci, visite o accertamenti diagnostici che si sono rivelati inutili, e per i quali i medici di base che li hanno prescritti potrebbero essere sanzionati, ma oltre il 51,3% si dichiara contrario a sanzionare i medici che fanno queste prescrizioni ritenute inutili, perché ritengono che solo il medico può decidere se la prestazione sia effettivamente necessaria.