A colloquio con don Francesco Della Monica, parroco di Santa Maria del Rovo
Continua il nostro peregrinare tra le varie parrocchie della Diocesi visitando la Chiesa di Santa Maria del Rovo. Ad accoglierci è don Francesco Della Monica, nato a Salerno quaranta anni fa. Cresciuto con la sua famiglia a Raito, frazione nel Comune di Vietri sul Mare, dopo gli studi tecnici e alcune esperienze lavorative, a 25 anni, inizia, nel Seminario Metropolitano Giovanni Paolo II di Salerno, l’iter formativo e culturale.
Viene ordinato Diacono il 7 dicembre 2007 e Presbitero il 6 settembre 2008 nella Chiesa Concattedrale di Cava de’ Tirreni. Da gennaio 2007 a febbraio 2010 lavora come Segretario particolare dell’Arcivescovo. Dopo l’ordinazione sacerdotale vive l’esperienza di viceparroco presso la Parrocchia di S. Pietro Apostolo in Cetara e si occupa della Comunità parrocchiale di S. Maria Assunta in Erchie di cui attualmente ne è ancora responsabile spirituale.
E’ stato anche, dal 2009 al 2013, caporedattore della Rivista Diocesana “Fermento”. Attualmente è direttore dell’Ufficio Diocesano Migrantes, Membro del Consiglio Presbiterale, Membro della Commissione Regionale per l’organizzazione del Giornata Mondiale del Migrantes ed iscritto alla Facoltà Teologica di Posillipo per la specializzazione in Vita Cristiana.
A che età ha avvertito la chiamata al sacerdozio?
“ La realizzazione della mia vita si è concretizzata con la risposta del mio Eccomi a Dio. Non è stata una cosa semplice, perché all’inizio è presente una sorta di non capacità di non riconoscere Dio nella propria vita, quindi di conseguenza ci si trova disorientati. Come tutti i ragazzi di questo mondo avevo fatto le varie esperienze lavorative, sociali… La chiamata si è resa più chiara intorno ai 25 anni.”
I suoi erano d’ accordo con questa scelta oppure l’ hanno ostacolata e se sì, perché ?
“Mio padre è stato più felice di accogliere questa scelta, mia madre un po’ meno. Ricordo che la sera di domenica 4 ottobre del 2001 partii per il seminario e mi è rimasta impressa nella mente la scena di mia madre che non mi salutò neanche”.
Si è mai pentito di questa scelta?
“Questa scelta è stata sempre presente dentro me, per spiegare meglio quello che voglio dire è come quando avvicini un cellulare a una radio essa continua a trasmettere la musica nonostante le varie interferenze. Quando andai dal mio parroco, don Gerardo Spagnuolo, mi aspettavo un’accoglienza ben diversa da quella ricevuta, all’epoca mi fece un po’ male, ma oggi lo devo solo ringraziare. Il mio sacerdote aveva già capito che dentro di me stava accadendo qualcosa, ma aspettava che io maturassi perché non ero veramente pronto”.
Quale rinuncia è stata la più difficile?
“Sono passato dalla libertà più assoluta, anche dal punto id vista economico avendo un lavoro, a sottostare alle regole del seminario. Ma se oggi dovessi parlare di rinuncia non avrei il coraggio, perché sono serenissimo con me stesso e se mi chiedessero di rifare tutto quello che ho fatto, a occhi chiusi rinnoverei la mia scelta”.
Cosa direbbe a un giovane che le manifestasse il desiderio di entrare in seminario?
“Innanzitutto, lo guarderei negli occhi, perché vorrei trovare lo stesso entusiasmo che ha spinto me a prendere la scelta del sacerdozio, e vorrei vedere anche se c’è la paura di fare una scelta del genere. Inoltre, vivrei con molta tranquillità la scelta fatta e lo accoglierei con la stessa delicatezza con la quale il mio parroco, Don Gerardo, mi accompagnò e cercando di capire se veramente è la sua scelta oppure no.”
Incontrare le periferie” è l’ appello del Papa alle parrocchie perché escano dalle sacrestie e vadano incontro ai lontani, ai poveri, agli emarginati, insomma che la chiesa diventi “ospedale da campo” per curare le “malattie” del nostro tempo. In quale misura pensa che l’attività pastorale della sua parrocchia accoglie quest’ appello?
“Quando sono arrivato qui non ho trovato una situazione facilissima da gestire visto che era il quinto parroco che si susseguiva. Arrivai la sera del 14 febbraio del 2010, e neanche il tempo fu dalla mia parte visto che diluviava in una maniera impressionante. La prima cosa che pensai quando arrivai qui, è che questa parrocchia per poter crescere doveva “dare la mano” a chi era più indietro. Tutta la parrocchia è stata visitata, ogni persona, anche chi non aveva voglia, si è bussato alla loro porta, perché nessuno si dovesse più sentire dimenticato. Abbiamo un gruppo di messaggeri che fanno ponte tra le zone di tutta la parrocchia e la comunità. La chiesa è un cuore che batte per dare vita!”.
Quale ruolo hanno i laici presenti nella sua parrocchia: la “corresponsabilità” della loro azione pastorale in quale misura è avvertita?
“I laici presenti nella parrocchia sono abbastanza corresponsabili, ossia, sentono il peso della responsabilità. Ogni gruppo ha la sua figura di riferimento, moltissime sono le iniziative anche per i più piccoli nonostante le poche sale a disposizione. Ci siamo “inventati” l’ esperienza del presepe vivente, il quale ha anche la finalità di aggregare e di mettere insieme le singole capacità di ognuno di noi (racconta sorridendo che al presepe vi partecipa anche una signora di 85 anni, nonostante le gelide temperature di dicembre, n.dr.), tutto questo fa sì che il laico sente sua la parrocchia! La finalità del presepe, oltre che organizzato per far riflettere sulla nascita del nostro Salvatore, ha anche la finalità, con le offerte ricevute dai visitatori, senza alcun costo di biglietto d’ ingresso, di realizzare un fondo per la costruzione di un centro pastorale per i giovani, visto che vi sono a disposizione solo due aule. Poi, è organizzata anche la Via Crucis e tutte le rappresentazioni sono montate da persone che al posto di tornare a casa dopo una giornata di lavoro vengono qui in parrocchia a dare il proprio contributo anche autofinanziandosi il materiale necessario. I laici hanno un punto predominante, se iniziano a percepire la bellezza della propria comunità, avendo come cardine centrale Gesù”.
Cosa ne pensa dell’ unione civile riguardo agli omosessuali?
“ La situazione viene troppo strumentalizzata, ma la cosa importante è non chiudere mai le porte a nessuno, rispettare gli altri, e i loro sentimenti. Ma a volte mi domando come sarebbe un mondo formato non da famiglie con madre e padre bensì due persone dello stesso sesso. Per quanto ci sia l’ accoglienza, la disponibilità, il dialogo, non si può andare oltre perché alcune cose sono naturali così…”.
Come è stata vissuta la Quaresima e la Pasqua nella sua parrocchia? “A parte la Via Crucis abbiamo adottato tre progetti: portare medicinali alle persone in difficoltà del terzo mondo, alcuni aiuti per i figli dei carcerati e il terzo progetto riguarda l’ istruzione, portare in questi paesi in via di sviluppo la cultura che è la leva centrale del mondo. Attraverso il ricavato dei vari venerdì di Quaresima con tutta la diocesi cerchiamo di realizzare questi progetti”.