Lo confesso: non sono mai stato un tifoso delle primarie, brandite da una politica esangue e in cerca di legittimazioni per mezzo di riti forestieri.
Le primarie sono un film americano, che trasuda di gadget da fiera strapaesana e poggia la sua forza persuasiva su ingenti impegni finanziari. Che poi sono il leit motiv della politica americana che non conosce i partiti così come si sono formati e manifestati in Europa e per questo deve giocarsi il governo sulla intraprendenza dei singoli attori. Concomitano, dunque, con le primarie locali italiane quelle
statunitensi per la scelta dei candidati alla presidenza e il raffronto tra atmosfere non fa guadagnare punti all’Italia. E non è solo per gli strascichi polemici che ogni primaria porta con sé: Napoli e Roma in casa Pd fanno scuola. Ma anche per il significato controverso che il termine primarie sta assumendo in politica.
I tre maggiori movimenti politici organizzati, Pd, Cinque Stelle e FI, chiamano primarie tre meccanismi per selezionare le candidature a sindaco totalmente diversi fra loro.
Per il Pd le primarie sono una procedura aperta agli iscritti e simpatizzanti dietro pagamento di un modesto obolo per esercitare il diritto di concorrere alla scelta del candidato di coalizione, potendo far conto sul fatto d’essere la formazione largamente maggioritaria nell’alleanza di centro-sinistra.
Per i Cinque Stelle non si parla neppure di primarie: si vota on line e la procedura è governata da riti misterici che ammettono solo un selezionato numero di iniziati.
FI, invece, chiama primarie una cosa che somiglia assai più al plebiscito: la scelta- vedi Bertolaso a Roma-e’ già stata fatta dal capo e la scheda recherà l’alternativa secca mi piace/non mi piace. Saremmo curiosi di sapere che cosa accadrebbe nella remota ipotesi in cui la maggioranza dei partecipanti al rito scrivesse il proprio don’t like: il capo ne sceglierebbe un altro da ri-sottoporre all’ordalia popolare? Insomma,
poche idee e manco così smaglianti.
Se potessi, come in un gioco dell’oca, far ritornare tutto alla partenza propenderei con tutto il cuore per il ripristino dei partiti/partiti, quelli con dirigenti solidi che sapevano fare le scelte e con la gente che partecipava alla politica partendo dalle sezioni: quattro milioni e mezzo di iscritti su una platea di italiani votanti pari a 45 milioni. Ma i partiti sono morti, e le loro ceneri liofilizzate sono state disperse da qualche parte, forse nella
Terra dei Fuochi.
Allora, però, se non si ha voglia o forza o capacità di ricostruire i partiti, almeno che non si giochi in questo modo con le primarie. Vogliamo le primarie? Allora regoliamole per legge. Ma questo limbo (nel senso di ballo americano, molto Carosone in ” Tu vuo’ fa l’americano ma si’ nato in Italy”) in cui si fa tutto e il suo contrario sotto la fievole nobilitazione della partecipazione di popolo, per favore risparmiatecelo.