Luigi D’Antonio: “L’adozione è un diritto del bambino e non degli adulti”!
A colloquio con Luigi D’Antonio su Family Day, Ai.Bi., disegno di legge Cirinnà, unioni civili e adozioni.
Luigi D’Antonio e Lucia Trapanese, cavesi, genitori adottivi “che si sporcano le mani quotidianamente nell’adozione” – queste le loro stesse parole – il 30 gennaio sono saliti sul palco del Family Day a Roma e hanno parlato di fronte a migliaia di persone per ribadire che il diritto di ogni bambino è avere una mamma e un papà e che non esiste, al contrario, un diritto a essere genitore a tutti i costi.
“Quando Marco Griffini, presidente e fondatore di Ai.Bi. associazione Amici dei Bambini -ci spiega Luigi D’Antonio- mi ha proposto di essere voce di 168 milioni di bambini abbandonati nel mondo sul palco del Family Day, ho risposto subito di sì senza tanto rifletterci, ma pensando solo che, anche in questo caso, era nostro dovere metterci al servizio dei bambini abbandonati”.
Prima di parlare della vostra esperienza romana, vi andrebbe di raccontare qual è la vostra storia personale che vi ha portati ad avvicinarvi all’adozione?
“Come la maggior parte delle coppie che si avvicinano al mondo dell’adozione, la nostra storia nasce da una “disgrazia”, dalla constatazione di una condizione di sostanziale sterilità che impediva al nostro amore di “concretizzarsi” nell’attesa di un figlio. Ricordiamo quel periodo nel quale i giorni vanamente trascorrevano senza un esito favorevole. Quante mamme vicine a noi che, in attesa, parevano ostentare “il pancione”! Rabbia e rassegnazione si alternavano, sordi ad ascoltare una “chiamata”, una possibilità altra di essere genitori. Sembra un secolo fa, come osservare un film interpretato da attori diversi. Poi, una scelta, un percorso di formazione sull’adozione, quella vera, con il supporto e la guida dell’associazione Amici dei Bambini, ha permesso di avere la “giusta” ottica rispetto all’accoglienza di un bambino che proviene da una tragica condizione di abbandono. Un percorso ricco di valore vero dell’esistenza e della essenzialità che ci ha fatto constatare come quella situazione, percepita come “disgrazia”, si sia palesata invece come vera e propria “grazia”, restituendo un alto profilo nella struttura di senso della nostra esistenza. Entrare nel mondo delle adozioni, significa entrare in contatto (spesse volte empaticamente) con chi fa esperienza dell’abbandono. L’abbandono rappresenta una condizione, una esperienza che non è confinata a chi permane in questo stato, ma è fatalmente rievocata anche in chi è stato adottato. Costui deve affrontare questo dramma esistenziale, specialmente nell’età evolutiva, per lo più nella fase adolescenziale. L’abbandono è spesso vissuto come un tradimento a una legge di amore, quella che naturalmente lega l’atto del generare con quello dell’accoglienza. Quando ciò non accade (concretizzata con l’abbandono) si produce un profondo senso di vuoto che ovviamente provoca sfiducia nella relazione figlio-genitore e nell’uomo in generale. L’adozione si propone quindi come una condizione in base alla quale può avviarsi il processo di ricostruzione, di cicatrizzazione di una lacerante ferita. In tal senso si palesa come un atto di giustizia, anzi il più grande atto di giustizia che si possa compiere. Infatti essa dà dignità di figlio a un bambino deprivato di tale condizione. In tal senso, pur individuando nella fase genetica della scelta anche indubbi aspetti egoistici nell’adozione, abbiamo avuto modo di scoprire una condizione di grazia, per il fatto stesso di essere coattori, strumenti del volere di Dio”.
E per sanare quest’ingiustizia vi siete affidati ad Amici dei Bambini.
“Inizialmente non conoscevamo Ai.Bi., all’epoca della nostra prima adozione non era obbligatorio il ricorso agli enti autorizzati. Esisteva, infatti, ancora il cosiddetto “fai da te”: delegavi un avvocato o un intermediario a portare avanti le pratiche per te e lui faceva tutto, a fronte anche di ingenti somme di denaro. Io e mia moglie fummo spaventati e disgustati dall’approccio con “questo mondo”; ci sembrava di acquistare un oggetto qualsiasi, non di accogliere un figlio. Così ci rivolgemmo al nostro parroco chiedendo aiuto e lui ci indicò due riferimenti di associazioni impegnate nel campo, delle quali una era l’Ai.Bi. All’epoca non c’era ovviamente la sede in Campania e fummo costretti a fare più di 800 km per andare a Milano per incontrare l’associazione. L’impatto fu molto forte. All’epoca era lo stesso presidente stesso Marco Griffini che – con sua moglie e altre famiglie adottive – formavano le nuove coppie. Per loro, che avevano vissuto direttamente la realtà degli istituti all’estero, era normale spronarci anche in maniera “brutale”, incitarci a non avere paura e ad aprirci all’accoglienza di qualsiasi bambino abbandonato: era lui che aveva bisogno di noi e non il contrario. Il viaggio di ritorno lo facemmo in silenzio, in totale silenzio, quasi sconvolti tanto era stato forte quell’incontro. Ma fu proprio quest’incontro che ci cambiò la vita. Mettemmo da parte qualsiasi calcolo e qualsiasi tentativo di recuperare una sicurezza, com’è giusto che sia in qualsiasi decisione di amore. Fiduciosi, decidemmo di farci seguire da Amici dei Bambini in questo importante percorso della nostra vita. Fu così che concludemmo la prima adozione in Brasile: nostro figlio all’epoca aveva appena 15 giorni”.
Se tutt’oggi siete volontari di Amici dei Bambini vuol dire che quell’esperienza vi è proprio rimasta dentro.
C’è rimasta talmente dentro che dopo alcuni anni abbiamo deciso che dovevamo incontrare e accogliere un altro bambino abbandonato. Così, sempre con il supporto di Ai.Bi., abbiamo conosciuto il nostro secondogenito in Perù. Non ci bastava ancora però, avevamo vissuto in prima persona anche noi la realtà degli istituti all’estero, dei tanti bambini abbandonati e ci siamo messi a disposizione, come volontari, dell’associazione e degli “altri nostri figli” lasciati lì. Abbiamo seguito nuove coppie, collaborando nell’accompagnamento all’incontro con questi bambini. Io e mia moglie non saremmo mai riusciti a chiudere la porta di casa alle nostre spalle, con i nostri figli, lasciando fuori quel mondo che avevamo conosciuto, “l’altro nostro figlio”. Riteniamo che noi genitori adottivi non possiamo sottrarci a lottare al fianco dei bambini abbandonati del mondo; siamo entrati negli istituti, li abbiamo conosciuti. Dobbiamo essere i portavoce del loro grido di richiesta di un papà e una mamma. L’incontro con questa realtà, l’adozione, certamente cambia la vita dei bambini, più che altro cambia la nostra di genitori, affermando altre priorità, un recupero di essenzialità trasferito da questi bimbi che non hanno nulla se non il loro sorriso. Non ce l’avremmo mai fatta a dimenticare quanto visto e a ricominciare la nostra vita come se niente fosse stato. È come se ogni bambino senza una famiglia da quel momento ci avesse detto “sarei potuto essere io tuo figlio, aiuta anche me”. L’abbandono è una cicatrice che resta nei nostri figli, ma è un pensiero forte che entra anche nelle vite di chi accoglie: non si può voltare le spalle a un bambino che chiede il tuo aiuto”.
E di strada ne avete fatta tanta, sia in Campania sia a livello nazionale.
“Quest’anno ricorre il 30esimo anniversario della costituzione di Ai.Bi. come associazione e in 30 anni più di 3.000 bambini sono tornati a essere figli. Ormai non c’è più solo la sede a Milano, siamo presenti in tutta Italia con una sede operativa per regione, dove le coppie vengono seguite in tutto l’iter, dal primo incontro informativo alla fase del post adozione. Abbiamo anche diversi punti informativi sempre in ogni regione, cosicché le coppie possano accedere ai primi incontri di conoscenza senza neanche spostarsi di provincia, e sono attivi anche degli spazi famiglia regionali, luoghi di ritrovo e di convivialità delle famiglie. Crediamo molto nella rete tra famiglie e la capillarità di Amici dei Bambini oggi ne è una dimostrazione”.
Nella nostra regione se qualcuno vi cercasse dove potrebbe trovarvi?
“In Campania abbiamo la sede operativa principale che è a Salerno, in via Bastioni 4, ospitati dalla Diocesi, aperta tutti i giorni mattina e pomeriggio. La sede regionale ha seguito fino a oggi circa 200 coppie poi costituitesi in famiglia. Durante l’anno almeno due volte organizziamo incontri di convivialità ed è da Salerno che partono sempre le iniziative regionali, con diverse famiglie che prestano volontariato a seconda delle proprie attitudini. Abbiamo poi una sede a Santa Maria Capua Vetere, diretta dai coniugi Antonella e Umberto Pappadia che con Amici dei Bambini hanno realizzato la loro seconda adozione in Cina e dove attualmente c’è un bellissimo gruppo composto da circa 10 famiglie che si incontrano quasi mensilmente, non solo per incontri “istituzionali” ma anche per cene e feste. Siamo molto orgogliosi del nostro punto informativo di S. Maria. L’ultimo nato è invece lo spazio famiglia di Castellammare di Stabia, gestito da Olga e Antonio Mormone che dopo aver concluso la prima adozione in Bulgaria, hanno da poco intrapreso un nuovo iter per un’adozione in Perù”.
Torniamo da dove siamo partiti, la vostra partecipazione al Family Day. Ci raccontate com’è andata?
“Dicevo che abbiamo risposto subito sì alla chiamata del presidente di Ai.Bi. senza pensarci due volte, forse anche con un pizzico d’incoscienza, perché parlare davanti a tante persone non è facile: puoi dimenticare cosa dire, puoi avere la mente bloccata. Ma il nostro spirito di servizio verso l’infanzia abbandonata è stato più forte e una volta con il microfono di fronte, davanti a quel fiume umano di gente – tantissima: senza entrare nel merito dei numeri – abbiamo raccontato la nostra esperienza convinti anche di dare voce a chi voce non ne ha. Anche i nostri figli ci hanno detto: “mamma, papà, ma noi che dovremmo essere i veri beneficiari dell’adozione perché non siamo mai interpellati in questi processi decisionali come quello di una nuova legge? In istituto sognavamo ogni giorno che dalla porta entrassero due persone, ma non due persone qualsiasi: sognavamo di vedere arrivare una mamma e un papà. Perché nessuno ci chiede di esprimere il nostro parere?”. Questo è il parere dei miei figli, ma questo rappresenta anche la volontà espressa e gridata dai tanti giovani adottivi di Ai.Bi., oramai maggiorenni, presenti alla manifestazione di Roma. Ecco, è anche per loro che io e mia moglie siamo saliti su quel palco. È un momento topico dove si gioca anche il futuro delle scelte politiche rivolte all’adozione, e in un sistema democratico, fortunatamente, esiste la possibilità e la responsabilità civica di rivendicare a ogni costo le nostre ragioni”.
Volendo ribadire i concetti importanti di quel discorso, cosa si sentirebbe di ripetere?
“Il mio intervento era successivo a quello di una donna americana che presentava le assurde pratiche di fecondazione in vitro che si realizzavano nel suo Paese. Sicuramente rimetterei al centro del nostro interesse le problematiche dei bambini abbandonati, cioè non di prodotti di laboratorio, ma di cuori che battono, di bambini che esistono e che, in relazione alla loro condizioni, devono trovare una forma di accoglienza per la ricostruzione di una personalità compromessa dal dramma di assenza di relazioni stabili e affettive che vivono. Con forza ribadirei e urlerei nuovamente che per loro devono esserci necessariamente una mamma e un papà. Infatti, i bambini abbandonati sono stati abbandonati da una figura femminile e una figura maschile. Lo sanno! Lo ricordano! Ovviamente non hanno sentimenti favorevoli verso questa relazione interrotta. Nei momenti più critici delle tappe evolutive, penso soprattutto all’adolescenza, i bambini adottati si troveranno a confrontare le quattro immagini genitoriali, biologiche e adottive e questo sarà faticoso, forte, doloroso! Questi bambini anche una volta cresciuti continueranno ad avere sullo sfondo due figure, le persone che li hanno generati. Ebbene, per poter ristabilire in loro il vero e giusto concetto di famiglia, c’è bisogno che queste figure sullo sfondo, maschile e femminile, siano sostituite da altre due omologhe figure, che provino a ristabilire il concetto di fiducia verso la paternità e maternità alterata dall’abbandono. Ribadiamo l’interesse primario del minore. Qui non viene messo in dubbio l’amore che due persone dello stesso sesso potrebbero dare a un bambino, ma come queste possano effettuare l’azione di ricostruzione e di riabilitazione delle due figure abbandoniche (ovviamente maschio e femmina) che costituiscono la radice della loro esistenza e quindi del proprio codice identitario. Pensare che un bambino abbandonato, oltre a sopportare le difficoltà dell’elaborazione dell’abbandono, debba faticare ulteriormente per configurare un modello di genitorialità che obiettivamente non riflette (e non può farlo) quello che è geneticamente inscritto nella sua storia e nella sua identità. Qui non si tratta di essere contro qualcuno, bensì a favore del soggetto debole da tutelare, del vero protagonista e beneficiario della norma. In definitiva, i bambini in adozione hanno diritto a essere accolti da una coppia che faciliti il più la possibile la costruzione di quel difficilissimo puzzle che è la loro vita: UNA MAMMA E UN PAPÀ!”
Guardando più in generale al ddl Cirinnà, crede ci possa essere il pericolo che attraverso la sua approvazione si possa, un giorno, arrivare anche all’adozione di un bambino abbandonato? Perché chi è a favore esclude questa possibilità e dice che è un allarmismo infondato.
“Sono favorevole assolutamente alla regolamentazione delle unioni di fatto perché occorre garantire i veri diritti a queste coppie. Ma l’adozione no! Non è un loro diritto, come non lo è per alcun adulto. L’adozione è un diritto del bambino! Rilevo che è in atto una sfida di carattere epocale che tende a riscrivere le logiche del sistema di codifica delle relazioni parentali con connotazioni che talora assumono derive ideologiche, che sottendono plausibilmente una prospettiva di un riconoscimento di un inesistente diritto di genitorialità”.
Però c’è anche chi obietta affermando che per i milioni di bambini abbandonati nel mondo è meglio farli uscire, magari anche accolti da coppie omosessuali, che tenerli chiusi lì.
“È uno dei tanti stereotipi, perché noi siamo in presenza – da quattro anni – di un crollo verticale di adozioni internazionali, nonostante vi siano ancora migliaia di famiglie che potrebbero adottarli. Nel 2015 sono arrivati in adozione internazionale 2.100 bambini, accolti da 1.800 famiglie; ma sono anche 3.000 le famiglie che nel 2015 hanno ottenuto l’idoneità: quindi ci sono ancora 1.200 famiglie che potrebbero adottare altrettanti bambini… Ma soprattutto il dato clamoroso è che sono 5 milioni e 300mila le coppie sposate in Italia senza figli, che potrebbero essere – non dico certo tutte, ma gran parte di queste – una grandissima risorsa per i bambini abbandonati. Per cui non si vede proprio la necessità, in questo momento, di aprire l’adozione internazionale a coppie omosessuali. Si tratta, viceversa, di cominciare a costruire politiche di sostegno all’adozione internazionale, rivitalizzando i contesti istituzionali preposti e sostenendo le famiglie disponibili. Anche per quanto riguarda l’adozione nazionale, perché ci sono 35mila minori in Italia fuori famiglia e vengono realizzate solamente 1.000-1.200 adozioni nazionali e non perché mancano le famiglie… Qui addirittura abbiamo qualcosa come 9mila famiglie che, ogni anno, chiedono di adottare un minore italiano. Anche qui le adozioni sono poche perché in Italia manca – ed è l’unico Paese di buona parte del mondo! – una banca dati dei minori dichiarati adottabili. Il problema è che non si mette veramente l’interesse sul tema dei minori abbandonati, sul tema dei diritti dei minori abbandonati. Se a quest’ultimo il governo Renzi dedicasse non dico un decimo, ma un centesimo dell’attenzione che sta dedicando al problema delle unioni di fatto e dell’adozione per gli omosessuali, noi veramente daremmo in Italia una famiglia a 35mila minori abbandonati. Aprire le adozioni alle coppie omosessuali significherebbe, in questo momento, un ulteriore impatto negativo su tutto il settore”.
Perché dice questo? A parte la questione etica e il diritto che richiamate di ogni bambino ad avere una mamma e un papà, ci sono aspetti più pratici? Dalle sue parole è come se intendesse che i danni sarebbero anche per le adozioni già avviate dalle coppie eterosessuali.
“Le faccio due esempi per farle capire l’ostacolo che si frapporrebbe all’adozione internazionale e il pericolo in cui cadrebbero le coppie ora in attesa, ma soprattutto i bambini che aspettano un papà e una mamma dall’altra parte del mondo. Primo, se passasse così com’è questa legge la Russia estenderebbe la chiusura alle adozioni all’Italia, come già ha fatto un paio di anni fa chiudendo i “canali” con Usa, Francia e Spagna in quanto questi Paesi avevano norme che legittimavano le adozioni agli omosessuali. C’è poi l’Africa, con il celebre caso della Repubblica Democratica del Congo che ha bloccato alcune famiglie italiane con bimbi già adottati. Anche in quel caso fu l’adozione di un single, poi rivelatosi essere un omosessuale con partner, a causare la reazione. Capisce che sarebbe davvero un dramma per questi bambini già abbinati a famiglie in attesa? Per non parlare dell’altro pericolo che aprirebbe il ddl così com’è”.
Quale?
“L’articolo 5 del ddl Cirinnà consente di far rientrare dalla finestra una pratica vietata in Italia: l’utero in affitto. I dati del censimento del 2011 parlano di 7.500 coppie omosessuali conviventi con 529 figli che oggi possono essere definite per via giudiziaria, normalizzando le situazioni già costituite: per esempio, il Tribunale di Roma ha realizzato 16 adozioni per quanto riguarda il figlio del partner convivente. Chi può disconoscere che l’approvazione del ddl Cirinnà non alimenti la pratica della maternità surrogata? Legittimando per legge il riconoscimento dell’adozione del figlio del convivente, allora si può ricorrere alle agenzie presenti, ad esempio, in America e, con un congruo contributo per il servizio reso, posso programmare un figlio con la maternità surrogata e poi procedere, una volta in Italia, al riconoscimento come altro genitore del compagno. Riconosco che è un tema complesso, dibattuto, ma a mio parere legittimamente espresso in un contesto democratico come quello cui appartengo. Ritengo che il mio Paese non possa legittimare di fatto una simile procedura, ma debba affidare, come di fatto oggi è già garantito, la verifica delle eventuali condizioni particolari ai Tribunali per il riconoscimento dell’adozione del figlio del convivente”.
Concludendo, signor D’Antonio, Amici dei Bambini cosa crede si debba fare rispetto al ddl Cirinna?
“La nostra posizione non è quella di dire un “no” a priori alle unioni civili, ma quello di affermare ancora una volta il diritto dei bambini ad avere un papà e una mamma. È questo ciò che si eccepisce nel disegno di legge Cirinnà, almeno nella sua formulazione attuale. Non siamo contro le unioni di fatto in assoluto, ma contro quegli aspetti del ddl che mettono a rischio i diritti più importanti dei minori. Queste le ragioni della nostra presenza al Circo Massimo a Roma e il nostro impegno quotidiano sul ddl in questione. La richiesta al Parlamento è quella di stralciare dal ddl Cirinnà tutti i temi relativi ai bambini. Questi, infatti, andrebbero trattati in altra sede, mettendo mano a una riforma della legge 184/1983, quella che regolamenta l’adozione e l’affido”.