Salerno, “Il Folgorino” il libro di Primo Carbone che racconta la guerra vissuta da suo padre Gabriele
La sanguinosa battaglia di El Alamein, una delle più violenti della Seconda Guerra Mondiale, è raccontata nel libro”Il Folgorino. Il deserto – La mia guerra”, scritto dal noto imprenditore salernitano, Primo Carbone, che racconta quella battaglia, vissuta da suo padre Gabriele, che non si arrese mai al nemico, né collaborò con lo stesso, neanche quando fu arrestato e condannato a morte.
Il libro sarà presentato questa sera, alle ore 19, nei locali della Tenda in Via Fieravecchia, 20. A moderare l’incontro sarà l’avvocato Luciano Provenza, consigliere comunale, mentre ad intervistare l’autore saranno i giornalisti Andrea Pellegrino del quotidiano ” Le Cronache” e Clemente Ultimo, de” Il Mattino”.
In circa cento pagine, Primo Carbone racconta tutto ciò che il padre, insignito della Croce al Merito di Guerra, scrisse prima di morire nel 1998 a 78 anni.
“Oltre a ciò che ha scritto mio padre ho cercato di approfondire e verificare alcuni particolari recandomi negli archivi dell’Università e del Consolato inglese. Non sono riuscito ad arrivare agli archivi storici dei campi di prigionia inglesi perché sono ancora secretati. Ho anche incontrato due amici paracadutisti di mio padre, Rogata e Castellano, che mi hanno raccontato altri dettagli che ho inserito nel libro”.
Gabriele Carbone, venne chiamato alle armi nel 1940 insieme ai suoi fratelli.
“Anche il nonno Luca aveva combattuto sul Piave. Anche lui fu decorato con la Medaglia al Valore”, ha raccontato con orgoglio Primo Carbone,che fu grande amico di Carlo Falvella. Primo ha ricordato che il padre Gabriele era stato un paracadutista del “Battaglione Folgore”, un corpo speciale nel quale entravano a far parte soltanto i più arditi tra gli arditi”.
Li chiamavano i “Ragazzi della Folgore”. Ad El Alamein erano 3.500 e presidiavano un percorso lungo oltre dieci chilometri, senza artiglieria pesante, solo con pochissimi cannoncini portati a mano. Hanno sconfitto i reparti speciali inglesi: i “topi del deserto” , schierati con quattro brigate di neozelandesi, due brigate della Legione Francese, 500 carri armati, 800 cannoni. Non riuscirono a passare e furono sconfitti grazie al cuore e alle tattiche militari messe in campo dagli italiani: uscivano all’improvviso dalle trincee e facevano saltare in aria i carri armati. Il loro giovane comandante di compagnia, il ventiduenne Brandi, combatté fino all’ultimo nonostante avesse subito un taglio profondo al volto e avesse la mandibola spezzata.
“Mio padre, da Caporal Maggiore comandava il suo raggruppamento. Fu promosso Sergente sul campo per la sua determinazione e il suo impegno. Molti di loro morirono. Ne rimasero vivi solo 230. Vinsero quella battaglia , ma furono sterminati. L’amore per la Patria animava questi uomini di venti anni. Avevano giurato di difendere la Patria fino all’ultimo e lo hanno fatto con il cuore. Avevano resistito oltre ogni possibile speranza, ma preferirono morire pur di non lasciare un solo metro ai nemici. Mio padre faceva parte dell’ultimo reparto di circa quindici uomini che furono fatti prigionieri dagli inglesi. Non ricevettero neanche l’onore delle armi e i feriti, che i compagni avevano portato a braccia per chilometri, furono mitragliati grazie all’ordine dato da un ufficiale inglese. Un vero criminale”.
Il libro che è corredato anche da foto dell’epoca, è diviso in due parti: in una, Primo racconta della battaglia, e nell’altra racconta il lungo periodo di prigionia del padre nei campi di concentramento: “Per ben tre volte mio padre è riuscito a fuggire dai “Criminal Camp”, in maniera avventurosa e singolare” ha ricordato Primo Carbone che negli anni ’70 è stato pugile nella categoria dei pesi welter.
“Nei ” Fascists Criminal Camp” subì torture inenarrabili. Fu anche legato ad una croce. Non collaborò mai con gli inglesi, fino alla fine. Venne anche condannato a morte per aver ucciso un colonnello inglese, che umiliava i soldati italiani che non volevano collaborare. Alla fine riuscì a fuggire organizzando una grande fuga che durò quattro anni. Attraversò i territori della Palestina, passando per Tripoli, per la Libia, Beirut. Poi, nel 1947, si imbarcò clandestino su un mercantile, l’Anna Capano, rimanendo per dieci giorni sigillato nella stiva senza acqua e senza cibo rischiando di morire. Aveva 27 anni quando torno a Montella dove poi si sposò mia madre, Licia, che mi ha incoraggiato a pubblicare questo libro, dalla quale ha avuto cinque figli. Mio padre ci ha insegnato l’onore e la dignità. Era un uomo forte. Non ci ha mai raccontato questi episodi forse perché io con i miei fratelli eravamo delle teste calde”, ha ricordato Primo Carbone che negli anni ’70 ha partecipato alle lotte studentesche.
“Papà ha perdonato gli inglesi per tutto quello che ha subito ma non ha mai perdonato quegli ufficiali che si sono comportati da criminali. Per noi figli papà era una luce, un faro, una sicurezza: lo era anche per me che mi sono sentito sempre forte. Con lui e con mia madre siamo cresciuti con la fede in Cristo. Mio padre mi ha dato quello che è il mio spirito ribelle. Era un borbonico. Mi raccontò che i Savoia erano venuti al Sud per conquistarci e anche che Garibaldi non era un vero eroe. Tra i miei avi c’è stato anche un giovane brigante, Alfonso Maria Carbone, un giovane avvocato che aveva aderito al brigantaggio. Mio padre aveva una grande cultura di vita, la forza di un toro. La sua stretta di mano era una morsa, era una forza della natura. Quando è morto, al suo funerale, nella chiesa di San Paolo al Rione Petrosino, tanti amici e tanti giovani gli hanno reso onore”.