scritto da Redazione Ulisseonline - 07 Luglio 2015 08:52

Il cibo al centro della vita degli italiani

Orgogliosi delle eccellenze nostrane. Nella dieta italiana convivono prodotti tipici, surgelati, fast food e cucina etnica all’insegna del «politeismo alimentare». Ma la tavola non è imbandita per tutti. Un modello virtuoso che ora deve fare i conti con le nuove disuguaglianze alimentari

Il cibo italiano vince nel mondo perché esiste uno specifico modello italiano, quotidiano, minuto, di massa, virale, di rapportarsi all’alimentazione.

Sono 29,4 milioni gli italiani che si definiscono appassionati, ovvero persone a cui piace informarsi e parlare di cibo; 12,6 milioni si ritengono intenditori, capaci di discutere con buone nozioni su preparazioni, ricette e tradizioni; 4,1 milioni si considerano veri esperti. E sono 19,7 milioni gli italiani appassionati di vino, 7,2 milioni gli intenditori e 1,9 milioni gli esperti. L’enogastronomia è il nostro grande tema nazionale, pervasivo sul piano sociale, una componente fondamentale dello stile di vita, della cultura e dell’identità italica.

È quanto emerge dalla ricerca del Censis «Gli italiani e il cibo. Rapporto su un’eccellenza da condividere» realizzata per il Padiglione Italia di Expo 2015, che affronta il tema chiave «Nutrire il pianeta» in relazione alla situazione sociale italiana.

La tipicità per gli italiani è fatta delle tante eccellenze dei nostri territori. Ma non vince l’autarchia gastronomica localistica, bensì l’orgoglio nazional-gastronomico, la predilezione per il complesso delle tipicità italiane intese come garanzia di qualità e di sicurezza alimentare. Nella vita quotidiana, la certezza delle radici si unisce però alla voglia di sperimentare: 38,5 milioni di italiani preparano pietanze e ricette innovative apprese da ricettari o da programmi televisivi, 29 milioni mangiano piatti tipici di altri Paesi europei (come paella, crepes, gazpacho), 25,7 milioni gustano piatti etnici (come guacamole e cous cous).

Anche negli anni della crisi, per gli italiani la ricerca di prezzi convenienti non è andata a scapito della qualità. Nella scelta di un alimento, per l’87,6% conta la tipicità e il radicamento territoriale del prodotto, per l’86,3% la certificazione Doc, Docg e Dop, per il 59% la marca. Territorialità, trasparenza e certificazione sono al cuore delle scelte alimentari degli italiani come garanzia di qualità, sicurezza e salubrità del cibo.

Fatti salvi i fondamentali, gli italiani sono però refrattari a qualunque ortodossia alimentare. Con la crisi si è potenziata la logica soggettiva di combinare stili alimentari diversi con grande pragmatismo. Ecco perché nel quotidiano vince l’estrema articolazione delle diete. Nel Paese della dieta mediterranea, a oltre 20 milioni di italiani capita di mangiare nei fast food (2,8 milioni lo fanno regolarmente). E i prodotti tipici locali o di sicura provenienza italiana possono convivere con i surgelati (34,3 milioni di italiani acquistano surgelati e 24,7 milioni congelano pietanze preparate da loro stessi). Nelle abitudini degli italiani la qualità si unisce alla praticità in una logica combinatoria all’insegna del «politeismo alimentare».

Salutare, divertente, relazionale, identitario: il cibo per gli italiani è tutte queste cose insieme. Per il 27,9% il rapporto con il cibo è salutare, perché è il modo per prendersi cura della propria persona. Per il 26,7% il legame con il cibo è divertente, perché stare a tavola fa parte del nostro modo di stare bene insieme. Per il 17,9% il cibo è anche un motivo di orgoglio e un fattore identitario. Insomma, per gli italiani il cibo aiuta a vivere bene, a stare bene con gli altri e a sentirsi parte di una comunità.

Sono 36,6 milioni gli italiani a cui capita di mangiare fuori casa e la convivialità è il motivo prevalente. Sono 19,6 milioni quelli che mangiano fuori per incontrarsi con gli amici in un ambiente diverso da quello casalingo, 10,3 milioni lo fanno per svagarsi e non cucinare, quasi 7 milioni per sperimentare pietanze nuove, di cucine etniche e tradizioni diverse. La ragione principale della scelta di un locale in cui mangiare è proprio la ricerca di un ambiente tranquillo che consenta di stare bene a tavola con i propri commensali: lo afferma il 39,4% degli italiani.

La tavola però non è imbandita per tutti: 2,4 milioni di famiglie non hanno acquistato alimenti necessari a causa di difficoltà economiche (un milione in più nel periodo 2007-2014: +85%). Sono 2,4 milioni le famiglie italiane (il 9,2% del totale) che però nell’ultimo anno non hanno avuto i soldi sufficienti per comprare il cibo necessario. Sono un milione in più rispetto al 2007, c’è stato cioè un aumento dell’84,8%. Puglia (16,1%), Campania (14,2%) e Sicilia (13,3%) sono le tre regioni con la quota percentuale più alta di famiglie che vivono in condizione di disagio alimentare.

Il 12,2% delle famiglie con figli minori (830.000 nuclei) nell’ultimo anno non ha potuto acquistare il cibo necessario a causa di difficoltà economiche. Le famiglie con figli sono anche quelle che hanno subito di più i tagli alla spesa alimentare negli anni 2007-2014: -15,6% le coppie con due figli, -18,2% le coppie con tre o più figli.

Con la crisi si sono acuite le preesistenti disuguaglianze alimentari. Nel periodo 2007-2014 le famiglie con capofamiglia operaio hanno registrato una riduzione della spesa alimentare del 17,3% in termini reali, mentre quelle di dirigenti e impiegati del 9,7%, a fronte di una riduzione media del 12,9%. Se la sobrietà è un valore, perché vuol dire scelta ragionata e selezione, non si può non constatare una dinamica di erosione della coesione sociale nelle nostre comunità che ha toccato anche il rapporto con il cibo. (foto Angelo Tortorella)

Rivista on line di politica, lavoro, impresa e società fondata e diretta da Pasquale Petrillo - Proprietà editoriale: Comunicazione & Territorio di Cava de' Tirreni, presieduta da Silvia Lamberti.

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