Il 60% delle specie e il 77% degli habitat minacciati da innalzamento delle temperature, uso sconsiderato del suolo e eccessivo prelievo delle risorse. Il rapporto 2015 di Legambiente
Oltre un quinto del totale delle specie presenti nel nostro Paese sono a rischio di estinzione. Il 60% delle specie e il 77% degli habitat in Europa sono in uno stato di conservazione non favorevole e probabilmente non raggiungeranno l’obiettivo generale di fermare la perdita di biodiversità entro il 2020.
Circa la metà dei corpi idrici d’acqua dolce in Europa difficilmente raggiungerà il “buono stato ecologico” nel 2015, come stabilito da una Direttiva del 2000. Inoltre, secondo un recente studio pubblicato da Science, se non riusciremo a porre un freno all’innalzamento delle temperature, una specie su sei di animali e piante (il 16%) rischia di estinguersi entro il 2100. Ecco perché diventa necessario creare nuovi modelli di sviluppo che puntino sulle energie rinnovabili, sulle pratiche agricole sostenibili e sulla salvaguardia del nostro patrimonio naturalistico.
In occasione della Giornata mondiale della biodiversità, Legambiente fa il punto sullo stato di salute delle specie viventi, sui principali fattori di rischio a cui il nostro pianeta è sottoposto da anni (fonti inquinanti, sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, frammentazione degli habitat, cambiamenti del clima e invasione di specie aliene), e sulle strategie da adottare per far fronte alla perdita della diversità biologica.
Secondo i dati presentati nel primo Barometro della biodiversità italiana, su un campione di 2807 specie italiane di spugne, coralli, squali, razze e coleotteri, ben 596 sono a rischio di estinzione. Per i grandi mammiferi come lo stambecco e il camoscio appenninico lo stato di conservazione è migliorato negli ultimi cinque anni. Mentre tra gli uccelli quelli che vivono nelle foreste beneficiano di condizioni migliori rispetto a quelli legati agli ambienti agricoli, laddove l’intensificazione dell’agricoltura comporta la sparizione della vegetazione naturale.
Lo stato di conservazione delle circa 30 specie di pipistrelli è invece peggiorato. Per 376 specie, in particolare invertebrati o animali di ambiente marino, il rischio di estinzione è ignoto. Certo è che nei mari italiani la pressione esercitata su molte popolazioni animali, causata direttamente o indirettamente dalla pesca commerciale e sportiva, le ha ridotte numericamente già nei decenni passati. La grande pressione che subiscono i pesci cartilaginei dipende soprattutto dall’utilizzo di attrezzi di pesca non selettivi, dai quali sono catturati come bycatch (catture accessorie).
Nel complesso, quindi, la situazione non è positiva. La perdita – tra gli altri – delle funzioni del suolo, il degrado del territorio e i cambiamenti climatici continuano a preoccupare perché minacciano i flussi di beni e servizi ambientali alla base della produzione economica e del nostro benessere: acqua e aria pulita, suolo fertile, materie prime e cibo, sono beni essenziali per il benessere del genere umano su cui gravano pressioni globali che dagli anni novanta sono cresciute a un ritmo senza precedenti.
E le conseguenze potrebbero avere conseguenze drammatiche. Basti pensare alle 135 milioni di persone che rischiano nei prossimi anni di dover migrare a causa della desertificazione, ai 50 milioni di persone che vivono in foreste minacciate dalla deforestazione e al sovra sfruttamento del 96% degli stock ittici del Mediterraneo, a causa della pesca eccessiva e non sostenibile. Da sottolineare, inoltre, l’aspetto economico che consegue alla perdita di biodiversità e al degrado degli ecosistemi: secondo l’OCSE i danni economici per la perdita della biodiversità ammonteranno a una cifra tra i 2 e i 5 trilioni di dollari per anno, superiore alla ricchezza prodotta dalla stragrande maggioranza della nazioni della Terra.